Il femminicidio è ormai una triste realtà che ci colpisce, ci insegue quasi quotidianamente. Ma esso non è altro che l’esplosione di fenomeni già preesistenti, spesso sottovalutati, che evolvono in qualcosa di incontrollabile e devastante. Parliamo di violenza non solo fisica e verbale, ma soprattutto psicologica che si estrinseca attraverso forme di annientamento dell’identità di un individuo, come ilcyberbullismo, lo stalking. La violenza non conosce differenze sociali e culturali, infatti le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali e a tutti i ceti economici. Vi sono diversi tipi di violenze e di varia gravità, così come è differente anche l’età della vittima. Mi riferisco alla violenza sessuale, sotto forma di stupri, abusi, molestie, sfruttamento sessuale, stupro da parte del partner; alla violenza fisica attuata con schiaffi, pugni, calci, torsioni, bruciature, strangolamenti, minacce con oggetti o armi, mutilazione di genitali; ed infine la violenza psicologica, la più subdola, apparentemente silente, espletata con intimidazioni, minacce, persecuzioni, isolamenti, sottomissioni, controlli, che possono portare sino all’omicidio. La violenza psicologica, accompagna sempre quella fisica ma spesso la precede andando a ledere l’identità di chi la subisce.È un uccidere dentro, un togliere la voglia di vivere, uno spezzare i sogni, creando ferite e lividi non visibili all’occhio umano ma che sanguinano copiosamente dentro ogni vittima di violenza.
Oggigiorno siano subissati da notizie sempre più raccapriccianti: donne che vengono uccise barbaramente per la sola colpa di voler interrompere un rapporto e/o di volere un diverso modo di vivere e, nel migliore dei casi, vedersi sfigurate con l’acido che lascia una cicatrice indelebile non tanto fisica (alcune volte recuperabile con interventi di chirurgia plastica) quanto psicologica (la paura che possa avvenire qualcosa di peggiore quando meno te lo aspetti). Ci si chiede cosa può indurre un individuo a comportarsi in questo modo, a mascherare molto spesso la violenza con la parola amore… Vi è una regressione verso l’instintualità con una perdita di controllo della razionalità che fa esplodere la rabbia e la frustrazione per la privazione di “qualcosa” a cui non si vuole rinunciare. Questo accanirsi quotidiano verso il genere femminile sembrerebbe essere legato ad un ruolo sempre più preminente della donna, ruolo riconosciuto razionalmente dall’uomo che però, nella sua parte più istintuale, continua ancora a considerarla un “oggetto” sessuale, una proprietà da gestire e distruggere a proprio piacimento, come un giocattolo nelle proprie mani.Vorrei che fosse chiaro che quello che sto dicendo non è un aspetto del femminismo contro il maschilismo, ma un aspetto di questi assurdi, disorientanti comportamenti che risaltano, purtroppo, sempre più ai nostri occhi attraverso i mass media. Avrete notato che nel momento in cui c’è un atto violento ne seguono altri a ruota sulla stessa riga. Questo purtroppo avviene perché menti più deboli non fanno altro che modellare, emulare quello che sentono, leggono, ascoltano e vedono, molto spesso nei minimi particolari, giustificatocome diritto di cronaca. Il fatto che qualcun altro lo abbia attuato non fa sentire l’altro più solo in questa pazzia. Violenza stimola violenza! Purtroppo la violenza non si esaurisce da sola: una volta iniziata, non finisce fin quando qualcuno non la ferma. Infatti essa corre sempre più sui fili invisibili del web con e-mail, messaggi sui social network (facebook, twitter, ask.fm) attraverso diffamazioni, minacce, intimidazioni che s’insinuano anche nei luoghi dove prima ci si sentiva al sicuro.
Questo convegno s’intitola la violenza del silenzio perché anche il silenzio di chi vede e non denuncia o interviene, di chi sente ed ignora, è una forma di violenza altrettanto cruenta e subdola di chi la attua. È una violenza perché è un modo come un altro di non dar voce ed ascolto a chi la subisce considerando la vittima come un oggetto non degno di rispetto. È importante rompere il silenzio nelle case, l’omertà nelle strade, la rassegnazione che ormai fa sempre più parte di noi. Al di là delle leggi, fondamentali affinché questa brutale spirale aggressiva venga fermata, noi vogliamo iniziare una battaglia culturale affinché non solo la donna, ma anche l’uomo capisca che la violenza non è solo un modo sbagliato di amare, ma soprattutto un reato, che lede l’identità non solo di chi la subisce ma anche di chi la attua, invischiandoli in un vortice, in un magma da cui, chi in un modo, chi un altro ne uscirà rovinosamente.
Concludo il mio intervento chiedendovi: e se fosse vostra sorella o vostro fratello o vostra madre o vostro padre o una cara amica o amico a subire l’ignominia dell’abuso e dell’oltraggio cosa fareste? Ese foste voi stessi ad essere violati? Denunciare i violenti è un diritto, un dovere e aiuta tutti quanti a vivere in un clima di convivenza.