Di Terry Bruno, psicoterapeuta e formatrice PNL
L’insegnamento è, senza ombra di dubbio, una delle professioni più importanti nella nostra società, perché gli insegnanti sono responsabili di una delle risorse più preziose dell’uomo: l’intelletto umano. L’andare a scuola, come dice Bandura, lo si può considerare una sfida cognitiva e motivazionale più impegnativa che il bambino affronta nel suo percorso di crescita.
Parliamo di sfida cognitiva perché:
- il cervello opera in modo sinergico costruendo enormi strutture sulle basi di altre già preesistenti, pertanto una mancanza momentanea può avere una ricaduta che può produrre, in seguito, delle difficoltà nella stessa disciplina o in altre materie, correlate ad essa;
- la scuola, col suo essere pubblica, non fa altro che mostrare agli altri le proprie capacità o incapacità per cui, per alcuni studenti, l’essere esposti al giudizio degli altri o essere solo oggetto di osservazione è fonte di stress, tensione, ansia.
È indubbio, comunque, che la scuola è un contenitore in cui è presente la competizione interpersonale che influenza il successo o il fallimento scolastico, incidendo sull’autostima, sull’immagine di sé e sulla gestione delle emozioni quali ansia, stress, depressione, rabbia.
Secondo Kolb il processo di apprendimento è ciclico e comprende quattro fasi:
- la fase dell’esperienza concreta, che consiste nell’assistere ad una lezione e nel partecipare ad una discussione;
- la fase dell’osservazione riflessiva, in cui si presta attenzione, si raccolgono i particolari;
- la fase della concettualizzazione astratta, in cui si fanno considerazioni generali, nascono le ipotesi, le teorie;
- la fase della sperimentazione attiva che chiude il ciclo, in cui si ha l’applicazione sul campo delle teorie.
A questo punto il ciclo ricomincia perché la sperimentazione da luogo ad un’altra esperienza concreta e così via.
Noi possiamo distinguere 4 stili di apprendimento in base alla preferenza, da parte del soggetto, di una fase del ciclo:
- stile di apprendimento attivo, tipico di chi ama un’esperienza concreta: sono curiosi ed ricercano sempre qualcosa di nuovo. Hanno un maggiore rendimento nello studio se lavorano in gruppo, per cui al posto della tipica lezione preferiscono dei role playing e delle simulazioni;
- stile riflessivo, a cui fa riferimento chi preferisce l’osservazione riflessiva: prima di agire sono abituati a riflettere dando risultati inattesi dopo periodi di stasi. Preferiscono memorizzare prendendo molti appunti e ascoltando o leggendo;
- stile teorico, tipico per chi utilizza una concettualizzazione astratta: sono analitici, logici, sistematici. Amano studiare leggendo, facendo schemi e riassunti;
- stile pragmatico, per chi preferisce una sperimentazione attiva: non gradiscono lunghi discorsi, ma preferiscono argomenti concreti. Prendono appunti sottoforma di slogan che possono facilmente ricordare e toccare la loro fantasia.
Questi diversi stili combaciano con la distinzione degli individui, secondo la PNL (Programmazione NeuroLinguistica): ogni individuo rappresenta la realtà in base alle informazioni che gli giungono attraverso i cinque canali sensoriali. A seconda della modalità che prevale sull’altra, possiamo parlare di un soggetto visivo, auditivo, cenestesico parola che comprende tatto, olfatto, gusto e le sensazioni interne derivate dal movimento. Questo diverso modo di percepire la realtà e di ricevere le informazioni, influisce diversamente sulla strategia di apprendimento e memorizzazione:
- il visivo preferisce memorizzare attraverso grafici e disegni oppure traducendo i contenuti in immagini e metafore;
- l’auditivo privilegia l’ascolto e la ripetizione a voce alta,
- il cenestesico si trova maggiormente a suo agio in attività che coinvolgono il tatto e il movimento e quindi gli viene più facile sottolineare, scrivere e riscrivere.
Dall’osservazione, quindi, di come i ragazzi studiamo o hanno l’approccio con le informazioni si può avere un’idea del tipo di studente che si ha di fronte e, di conseguenza, modificare il proprio approccio nel caso di una non comprensione di una spiegazione.
Recenti studi hanno, infatti, dimostrato e confermato che molti insuccessi scolastici sono dovuti ad una semplice incompatibilità tra lo stile d’insegnamento e quello di apprendimento (Stemberg 1996). Tutto questo porta alcuni studenti a credere di non essere portati per questa o quella disciplina scolastica, solo perché è stata insegnata in modo da essere percepita ostica e complicata, proprio a causa del diverso modo di spiegare (ad esempio in modo descrittivo, per immagini) e di apprendere (ad esempio cenestesico). Questo può portare lo studente ad andare incontro all’insuccesso scolastico malgrado le sue competenze cognitive siano efficaci, abbia un’adeguata motivazione all’apprendimento e si impegni nello studio. La persistenza di un insuccesso scolastico porta, in genere, ad una serie di processi che concorrono a realizzare la profezia autoavverantesi, cioè il bambino/ragazzo si aspetta di non riuscire e adotta un comportamento posto a confermare questa sua previsione. Indipendentemente dalla motivazione, ai primi insuccessi scolastici lo studente incomincia a considerare le sue capacità di prevedere di riuscire o meno riducendo il grado di autoefficacia. Questo significa che il risultato sarà piuttosto quello di non riuscire nello svolgimento di un compito che di farcela. Se noi ci troviamo nelle condizioni di non poter evitare di affrontare un compito che pensiamo di non riuscire a fare, entriamo in uno stato d’ansia che comporta un’alterazione del nostro stato fisiologico (tachicardia, sudorazione, dispnea, tensione muscolare, diarrea, ecc.) e induce la nostra mente ad occuparsi di queste variazioni fisiche con conseguente riduzione delle nostre capacità cognitive. Si ha, inoltre, un aumento della motivazione a sottrarsi a queste condizioni di malessere, ed ecco perché gli studenti che vanno male a scuola hanno sempre meno motivazione ad andarci e a studiare.
Sembra che ci sia una correlazione tra autostima e successi scolastici. Numerosi ricercatori hanno osservato che una buona autostima è legata a voti più alti a scuola. Ma indipendentemente dal fatto che ciò sia vero o meno, è indubbio che la performance scolastica influenzi la sua autovalutazione. Un metodo interessante di cui l’insegnante può avvalersi nell’insegnamento di nuovi comportamenti, in modo da influenzare positivamente la performance dello studente, è il principio dello shaping.
Lo shaping consiste nel rinforzare risposte simili al comportamento finale. Vengono, cioè, premiati i casi in cui la prova effettuata si è rivelata superiore alla precedente. Facciamo un esempio: volendo insegnare ad un bambino come scrivere le lettere dell’alfabeto, l’insegnante all’inizio dovrebbe lodare qualsiasi tentativo, da parte del bambino, di muovere la matita per fare dei segni sulla carta. Poi dovrebbe lodare solo quei segni che più si avvicinano alla lettera reale che si sta cercando d’insegnare. Il principio dello shaping risulta essere più efficace del metodo punitivo. Infatti il rimprovero non ha altro effetto che aumentare e stabilizzare la “confusione” e agevolare il sedimentarsi di emozioni di autosvalutazione, dando origine, così, all’ansia da prestazione, che viene aumentata dalle aspettative genitoriali.
Bisogna, quindi, portare l’allievo ad una dimensione del sé più reale, che consiste nel conoscere meglio se stesso e le sue capacità. Una tecnica di notevole presa ed efficacia sui ragazzi è il Brainstorming. Il termine introdotto da A. Osborn, indica “la tecnica particolare di soluzione dei problemi” in gruppo: i partecipanti sollecitati dall’insegnante esprimono liberamente le proprie idee a proposito di una particolare situazione-stimolo, come la soluzione dei conflitti in classe. In questo modo gli allievi allargano i propri interessi, toccando, senza rendersene conto, problemi esistenziali e ampliando i propri punti di vista, senza alcuna paura di incorrere in critiche.
Con questo metodo, ogni bambino/ragazzo impara a conoscere meglio se stesso sia nell’aspetto fisico, che in quello psicologico e sociale, rispondendo ad una semplice domanda: «Io come sono?».
L’insegnante può ulteriormente contribuire al miglioramento dell’autostima dello studente aiutandolo a fronteggiare le esperienze negative senza l’uso di critiche (“ci risiamo…”, “hai di nuovo sbagliato…”, “sei negato…”), di prediche (“siamo alle solite, quante volte ti ho detto che…”), ma a favorire in lui una riflessione che porti alla soluzione dei problemi (“esaminiamo insieme…”). In questo modo si aiuta l’allievo a generare nuove soluzioni, a valutarne le conseguenze e a raccogliere le informazioni necessarie alla soluzione del problema. Nello stesso tempo si fornisce agli altri scolari un esempio pratico di come poter superare gli ostacoli che nel corso della vita si potranno presentare.