Di Terry Bruno, psicoterapeuta e formatrice PNL
Pubblicato su “Odontoiatria oggi”, Anno VI, n. 2/maggio 2008
«Mi è capitato di leggere su una rivista scientifica americana che è stata condotta un’indagine sui motivi che inducono i pazienti a intentare causa al medico che li ha curati. Da questa indagine è emerso che spesso la denuncia viene effettuata non tanto per “negligenza e incompetenza professionale” quanto per il modo in cui sono stati trattati a livello interpersonale. Può consigliarmi cosa sarebbe opportuno effettuare per non incorrere in una tale possibile evenienza?».
Dr. V. C. Alessandria
«Spesso mi trovo di fronte a pazienti che hanno bisogno di essere rassicurati e mi accorgo che è sempre più richiesta la comprensione delle loro paure. Cosa è più opportuno fare di fronte a queste situazioni in modo che il paziente si rilassi e le visite diventino meno difficili da seguire?».
Dr. E. S. Genova
Negli ultimi tempi in Italia sono infatti aumentate le denunce e le richieste di risarcimento nei confronti dei medici di tutte le specialità. Molte di queste denunce sarebbero potute essere evitate se si fosse dato più spazio ed attenzione al rapporto con il paziente per una migliore comprensione e collaborazione reciproca.
La maggior parte delle cause legali sono dovute ad una comunicazione inefficace in cui il paziente si sente un oggetto, un fantasma, un qualcosa senza valore con conseguente disagio fisico e/o psicologico.
Il paziente è seduto sulla poltrona e ha i muscoli del viso contratti, un respiro corto, le sue mani stringono nervosamente i braccioli della poltrona. Sembra un blocco di ghiaccio pronto a scivolare via dalla sua postazione appena ne ha la possibilità. Guarda il medico e incomincia nervosamente a parlare e ad esprimere le sue paure:
«Senta dottore in cosa… consiste l’intervento che vuole farmi… sa stanotte… sapendo che oggi sarei dovuto venire qui non sono riuscito a dormire e…». Le sue parole cominciano a fluire come un torrente in piena.
«Su apra la bocca» risponde il medico con voce priva di calore continuando a cercare ciò che gli serve per iniziare la sua esplorazione e senza degnare di uno sguardo il paziente.
«Ascolti dottore, io ho grande difficoltà ad aprire bene la bocca, ho sempre dolori ai lati dove s’inseriscono i condili e spesso la mattina quando mi alzo ho un dolore diffuso…».
Il medico continua a cercare i suoi guanti e chiama l’assistente per portargli la mascherina, senza mai soffermarsi sul paziente: «Su apra bene questa bocca, non faccia il bambino devo solo guardare meglio la situazione e…» e incomincia a cercare di forzare l’apertura della bocca per fare entrare meglio lo specchietto.
A questo punto una mano del paziente si solleva dal bracciolo della poltrona e nervosamente ferma il dottore: «Ma allora non mi ha proprio ascoltato, le ho detto… io sono qui e respiro anche!».
Quando vengono riportate tali esperienze, a chi ascolta appare subito evidente che gli aspetti centrali di questo breve vissuto narrato siano la rabbia e l’umiliazione di essersi sentito trattare come un bambino, pieno di paure e seccante. Fondamentalmente ciò che viene lamentato è il mancato ascolto.
Un ascolto efficace da parte del medico è molto importante in quanto lo aiuta a raccogliere più informazioni possibili e ad evitare d’interrompere il paziente prima che abbia terminato di esporre i suoi sintomi e i suoi problemi.
L’ascolto è costituito da atti percettivi che permettono di entrare inconsciamente in contatto con l’interlocutore. Nel momento in cui esso diventa empatico e attivo ecco che la relazione cambia in quanto chi è ascoltato si sente capito, degno di attenzione, a suo agio. In pratica è un far passare inconsciamente un messaggio meta comunicativo: «Lei è una persona importante” che può portare il paziente a rilassarsi e a collaborare.
In queste situazioni, come quella descritta precedentemente, sarebbe opportuno distogliere l’attenzione dai propri pensieri in modo da evitare il rischio di perdere informazioni preziose che possono alterare l’esito della relazione, con eventuale perdita del paziente o rischio di eventuali complicazioni.
Alcuni medici che possono considerarsi degli “ascoltatori efficaci” hanno l’abitudine di ripetersi mentalmente ciò che il paziente dice per ridurre al minimo le distrazioni interiori e aumentare la capacità d’ascolto. Ma per ascoltare attivamente è necessario restituire tale comprensione e dimostrare in tal modo la presenza nella relazione, il rispetto e il riconoscimento dell’altro: «Ci sono, ascolto, colgo e capisco il contenuto e le emozioni che ti accompagnano, ne riconosco la rilevanza». Il parafrasare ciò che il paziente ha detto e utilizzare delle espressioni empatiche ne sono un esempio.
Ad esempio, nel caso del paziente che si lamentava del suo problema di apertura della bocca, l’approccio migliore sarebbe stato:
«Capisco che questo la preoccupa. Una non buona apertura della bocca le crea senz’altro dei fastidi. Proviamo a vedere insieme qual è il modo migliore per affrontare il problema».
Ecco che legittimando il punto di vista del paziente non si fa altro che comunicare che il medico ha capito la difficoltà in cui esso si trova.
Per poter capire quale tipo di ascolto si utilizza con i propri pazienti bisogna considerare che vi sono tre livelli di ascolto:
Ascolto intermittente: è un ascolto a scatti perché si pensa ad altro, si formulano giudizi, si replica, si consiglia o si prepara ciò che si vuole dire dopo. In questo caso si cancellano informazioni che possono essere utili (è l’ascolto utilizzato dal medico nel brano descritto).
Ascolto logico: a questo livello di comunicazione si resta in superficie, si sentono le parole ma non le si ascoltano veramente. Chi utilizza tale approccio tende ad ascoltare logicamente ed è più interessato al contenuto che al sentimento, rimanendo così emotivamente staccato dalla conversazione.
Ascolto empatico o attivo: il medico si astiene dal giudicare il paziente e si mette nei suoi panni in modo da percepire le cose dal suo punto di vista. In questo caso chi ascolta pone attenzione a tutta la comunicazione compreso il linguaggio del corpo. L’ascolto empatico richiede che l’ascoltatore mostri, sia verbalmente che non verbalmente, che sta realmente ascoltando.
Entrare in empatia con una persona, grazie anche all’ascolto attivo, è utile in tutti i settori della propria vita, in contesti diversi da quelli attinenti alla propria professione.
Per poter comunicare è necessario ascoltare
e senza ascolto non c’è comunicazione
È possibile esercitarsi e verificarne l’efficacia nelle varie situazioni informali in modo da rendere naturale e inconscia una tale strategia che da tempi immemorabili fa parte dell’uomo ma che raramente è utilizzata appieno.