Autore Terry Bruno, pubblicato in BookCiak Magazine, 24 agosto 2016
Il rapporto di odio/amore tra madre e figlio. La condizione di solitudine dei genitori in là con l’età. La riscoperta degli affetti trascurati in passato. È l’ironico e divertente nuovo film di Mario Balsamo, “Mia madre fa l’attrice”, in sala dal 25 agosto. La psicoterapeuta Terry Bruno lo consiglia ai nostri lettori anche per fare “terapia in sala”, stavolta con allegria…
Mia madre fa l’attrice è un film documentario, che uscirà nelle sale giovedì 25 agosto per la Bim. È nato dall’idea di Silvana Stefanini, madre di Mario Balsamo, regista del film, attualmente un’ottantacinquenne con tanta voglia ancora di divertirsi e che da giovane fu un’attrice del grande schermo recitando in piccole parti, come ne La barriera della legge, cui fa riferimento Balsamo nel suo film.
Mia madre fa l’attrice parla del rapporto genitori/figli, quel rapporto manicheo di odio e amore che varia a seconda del tempo in cui lo si osserva. Questa difficile relazione è ben descritta dal regista, con dialoghi spontanei e naturali, in modo ironico e surreale, mettendo in luce una diversa visione di una madre alquanto ingombrante da giovane.
Il film inizia con il festeggiamento del compleanno dell’anziana madre e proprio nelle scene iniziali, lo spettatore ha la possibilità di riflettere sulla condizione in cui si trovano i genitori, ormai in là con l’età: quella solitudine che viene interrotta, anche se per breve tempo, dall’arrivo del figlio tanto atteso, per poter scambiare qualche parola, per ricevere un gesto d’affetto, per sentirsi ancora parte della vita che ormai procede inesorabilmente verso qualcosa che prima o poi finirà.
Ma è anche un riflettere sul diverso modo di vivere la relazione parentale: durante l’adolescenza e la giovinezza burrascosa e incompresa, in età più matura con meno recriminazioni, alla ricerca di un qualcosa che era sfuggito a causa di una diversa percezione della propria vita.
È un’analisi del recupero di un rapporto condizionato da conflitti e divergenze d’idee, attraverso la passione che i protagonisti hanno in comune, il cinema, ripercorrendo insieme le scene di un film girato sessanta anni prima dalla Stefanini. Proprio questo confrontarsi e frequentarsi più assiduamente, porta il regista a scoprire una madre diversa rispetto a quella che aveva conosciuto da giovane, e che gli piace di più.
Il film viene vissuto attraverso il viaggio, a volte immaginario, a bordo di una vecchia Lancia Fulvia, targata Latina, che poi si scoprirà essere di proprietà del padre, collegando luoghi e ricordi ripercorsi questa volta insieme.
Questo ritrovare la madre e il recuperare quegli affetti trascurati in passato, sono anche una conseguenza di un modo diverso, da parte del regista, di affrontare la vita dopo il superamento e la guarigione da un tumore (raccontato nel precedente e premiatissimo Noi non siamo come James Bond). È un cercare di sanare vecchie ferite, non visibili all’occhio umano, ma presenti dentro di sé.
Da questo nuovo confronto tra madre e figlio emerge cosa lei e il padre gli hanno insegnato: il confrontarsi attraverso il litigio e lo scontro. Un aspetto molto interessante che ci fa capire come i figli ci modellano e apprendono e come noi, involontariamente, trasmettiamo modi di vivere e comportamenti alcune volte inappropriati.
Ma al di là del rapporto genitori/figli viene affrontato con delicatezza e ironia anche il tema di come viene vissuta la morte da parte di chi ormai non ha più davanti a sé molto tempo e ha invece voglia di vivere ancora e non sentirsi parcheggiato in attesa di… La morte viene infatti definita nel film, dalla Stefanini, una “fregatura”.
Durante la visione della pellicola si sorride spesso per le battute pronunciate con leggerezza e spontaneità dai protagonisti, proprio perché l’obiettivo dell’ideatrice è di parlare di argomenti che la gente vive quotidianamente, ma con allegria “per staccare la mente”. Questo omaggio di Balsamo alla madre è una rivalutazione di quel difficile rapporto che ha portato, genitori e figli, ad allontanarsi ma è anche un insegnamento ad apprezzare ciò che si ha, a rivalutare ed esprimere quell’affettività ormai scomparsa o che non ci è mai stata, perché come diceva la madre della Stefanini: “Ci si vuole più bene da morti che da vivi”.