di Terry Bruno.
Per Mark Twain “il coraggio è la capacità di resistere alla paura, di dominare la paura: non è l’assenza di paura”. Il cinema sempre più frequentemente continua a offrirci spunti di riflessione su questo tema attraverso il linguaggio delle immagini, dei gesti, dei simboli più che quello delle parole, sempre importanti ma un po’ più defilate. Grazie alla narrazione e alla rappresentazione filmica, si cerca di portare lo spettatore nella mente del protagonista, facendogli vivere appieno le sue ansie, paure, tristezze, gioie, grazie all’effetto vicariante (identificazione col personaggio).
Questa identificazione permette al soggetto di sperimentare ciò che il personaggio sta vivendo e facendo, capendo così le sue scelte, il suo comportamento, le sue azioni, condizione naturale per tutti i tipi di film, ma che assume una valenza maggiore per quelli in cui i protagonisti sono i giovani.
Molti sono i registi che amano le storie i cui protagonisti sono i bambini in quanto attraverso il loro sguardo, il loro modo di osservare, i loro valori ancora incontaminati, ci restituiscono una visione del mondo immediata, più naturale, senza pregiudizi e volta al superamento degli ostacoli.
Proprio attraverso essi si sprigionano emozioni così forti da coinvolgere gli spettatori, come se il mondo potesse risorgere attraverso gli occhi del protagonista bambino, con i suoi conflitti, le sue speranze, i suoi sogni e segreti della vita.
Il meraviglioso mondo dei bambini
Ma vi siete mai chiesti che cosa noi realmente sappiamo di questo meraviglioso universo che abbiamo vissuto e che ci ritroviamo quotidianamente al nostro fianco? Ed ecco che il cinema ci viene in aiuto affrontando ogni suo aspetto, che ancora oggi, nel mondo adulto, ci è da insegnamento. È come se vivessimo una favola, una metafora attraverso la quale vediamo il mondo da una prospettiva diversa.
Un film che mette in luce il coraggio, l’audacia, la solidarietà dei preadolescenti, contro il disastro e l’irresponsabilità degli adulti è Io non ho paura di Gabriele Salvatores, tratto dal romanzo di Niccolò Ammaniti. Un film in cui si possono ritrovare tutti i temi che stiamo vivendo in questo periodo di pandemia. Una sorta di favola moderna che si conclude con un lieto fine, e come tutte le favole si affrontano situazioni in cui si pensa di non riuscire a superare.
Un mondo adulto crudele e pericoloso
C’è la paura di una morte incombente, quella stessa paura che è tangibile di fronte a un virus che s’insinua nelle nostre vite senza poterlo controllare. Una minaccia di morte da parte di adulti nei confronti di un bambino senza alcuna colpa, che mette in evidenza un mondo adulto crudele e pericoloso, senza più valori ed emozioni.
Il protagonista, Michele, è espressione invece di quei valori forse dimenticati, amicizia, rispetto, umanità, ma soprattutto coraggio, quel coraggio di andare contro corrente, di sfidare le convenzioni, gli ordini, il cinismo, pur di salvare colui che ha bisogno di lui, un nuovo amico, condannato a morire per colpe non sue.
Io non ho paura è una metafora del passaggio dall’infanzia all’età adulta, un addio all’età dei giochi, in cui ci si sente protetti e in cui il mondo appare più luminoso. Un’età in cui lo stupore e la curiosità ci spinge a rischiare e a lottare in ciò che si crede e che, purtroppo molto spesso, nel mondo adulto acquistano una dimensione diversa. Forse dovremmo imparare a essere un po’ bambini se vogliamo che la nostra società si possa liberare di ciò che la sta divorando.