Lo psicologo al cinema: Terry Bruno
È la storia di una donna distrutta dal dolore per la morte della sua bambina, ci pone di fronte a un tema delicato, l’elaborazione del lutto per la perdita di una persona cara.
Nella vita viviamo spesso momenti di impotenza, che determinano stati di dolore e disagio. Questo è maggiormente sentito e vissuto quando ci si confronta con il lutto e la morte. In queste circostanze tutto ci appare più difficoltoso da affrontare e da superare, oltre che da capire.
La morte è la fine della nostra esistenza come entità corporea e può giungere nella nostra vita improvvisamente, come un bagliore nell’oscurità della notte, attraverso la perdita di persone a noi care o come timore che essa possa manifestarsi colpendo ancora qualcuno intorno a noi, o anche noi stessi.
Quando ci si trova di fronte alla perdita di una persona cara, come quella di un genitore, di un figlio, un fratello, un amico a cui siamo profondamente legati, viviamo la sua assenza fisica, quell’abitudine spesso quotidiana, di contatto e di presenza (fisica o mentale), tanto da creare una forte sensazione di mancanza che viene avvertita come un’intensa sofferenza fisica e psicologica.
Tale sofferenza può portare a chiudersi in se stessi, a un’angosciante voglia di fermarsi, di non voler andare avanti, di non voler vivere senza colui o colei che ha rappresentato o avrebbe rappresentato tanto nella nostra vita.
La morte di un figlio ha in genere una valenza superiore, in quanto il dolore è talmente forte e invasivo da travolgere non solo il soggetto in sé, ma la coppia genitoriale, sino alla sua possibile disgregazione.
Un film che ci porta all’elaborazione del lutto e della nostra fragilità
Questo tema così drammatico è stato abilmente affrontato in un recente film, uscito in streaming su Netflix, Pieces of a Woman (Frammenti di donna).
È un viaggio psicologico nel mondo umano della donna, una riflessione senza filtri sulla maternità, sulla perdita di un figlio, sull’elaborazione del lutto e soprattutto sulle proprie fragilità.
Al di là della bravura dei protagonisti, in particolare dell’interprete femminile Vanessa Kirby, il regista Kornél Mundruczò ha saputo dare il giusto risalto al racconto e allo stato emotivo di questi momenti dolorosi, con una sequenza di inquadrature che ha reso possibile l’identificazione con le aspettative dei genitori al momento della nascita, la gioia di poter abbracciare la propria figlia e il profondo dolore di perderla pochi istanti dopo.
Una catena di emozioni, belle e brutte, in pochi istanti, che coinvolgerà la coppia ma soprattutto la protagonista femminile Martha, che dovrà affrontare ed elaborare un lutto inimmaginabile. Si trova così a dover gestire una serie di emozioni, gioia, tristezza, rabbia, e uno stato d’impotenza e di vuoto assoluto.
Un insieme di piccoli pezzi di pensieri ed emozioni che tormentano una donna in quei frangenti così delicati. Da qui il titolo del film, frammenti di una donna, uno stato d’incapacità che Martha vive in quel lasso di tempo indefinito ma che un po’ tutti noi viviamo di fronte al dolore della perdita.
Le tappe del lutto: incredulità, dolore, rabbia, senso di colpa
Come ci ha insegnato Elizabeth Kubler Ross, quando c’è una perdita, spesso c’è la negazione di ciò che è accaduto. Si vive una sorta di ottundimento e tutto perde di valore, non ha più senso. Emergono allora una serie di domande: “Cosa succederà?”, “Come potrò sopravvivere a tutto questo?”, “Perché è dovuto succedere?”.
Ci si rinchiude in se stessi sino al momento in cui la rabbia esplode dirompente e distrugge tutto ciò che trova davanti a sé. La coppia, come nel caso del film Pieces of a woman entra in crisi. Nasce un conflitto di emozioni collegate a un senso di colpa. Tutto questo è comunque importante per poter riaffiorare da quel baratro in cui si è improvvisamente caduti.
Il momento della nascita è una fase molto delicata sia per il bambino che per la madre. Uno stato d’insicurezza per entrambi. Il bambino si ritrova a essere catapultato in un ambiente nuovo, pieno di luce, rumori, odori mentre lascia un ambiente ovattato, sicuro, grazie al cordone ombelicale che lo lega a colei che gli ha dato la vita. La madre perde quello stato illusorio di protezione nei confronti di quel minuscolo essere che per nove mesi ha tenuto dentro di sé.
Durante il periodo di gravidanza nascono tantissime aspettative che i genitori, in particolare la madre, riversano sul proprio figlio e nel momento in cui tutto questo svanisce per una perdita inaspettata, ecco che l’impotenza, mista a un dolore lacerante travolge ogni aspetto della propria vita.
Le reazioni, di fronte alla perdita, possono essere diverse. C’è chi scappa e fa cose impensabili, c’è chi nega l’accaduto e reprime ogni possibile emozione come tutela di se stesso e della propria vita. Rinnegare, soffocare le proprie emozioni, se da un lato momentaneamente fanno stare meglio, dall’altro aumentano lo stato di disagio interiore difficilmente gestibile.
E così Martha, nel momento in cui si ritrova tra le mani la foto di lei con la piccola appena nata, rivive quell’emozione che aveva provato nel momento in cui stringeva tra le braccia quel piccolo fagottino: essere madre. Ed è proprio il riconoscimento di quelle emozioni che per tantissimo tempo aveva evitato le permetteranno di elaborare il dolore della perdita, rivedendo le cose diversamente, lasciando andare la rabbia che l’aveva divorata ma anche anestetizzata.
Nel momento in cui riconosce il suo dolore ecco che riappaiono gli odori… l’odore di mela che sua figlia aveva. Una dolcezza infinita che vuole rivivere nel presente coltivando degli alberi di mele e in futuro con un’altra possibile nascita. Questo film ci insegna che il dolore della perdita è enorme, ma da esso può nascere qualcosa di nuovo e di meraviglioso, che non cancellerà le cicatrici, ma le potrà trasformare in un ricordo importante per apprezzare ancora di più ogni istante della nuova vita.