Dal 2018 docente nel Corso di specializzazione “Migrazioni, integrazione e democrazia”, organizzato dall’Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani, con la lezione “Hate speech, la faccia oscura dell’amore”.
Ecco un’estratto della lezione.
Hate speech, la faccia oscura dell’amore
La parola odio ha un semplice significato. Essa sta a indicare inimicizia estrema, forte antipatia o avversione, disprezzo, fuga, attacco ed è un concetto che viene recepito immediatamente. Eppure, questa percezione è ingannevole, in quanto ha varie sfaccettature. È un mix psicologico dato dal sovrapporsi di elementi cognitivi, affettivi, culturali e di gruppo, che sono conflittuali fra loro.
Risulta allora fondamentale capire che cosa è l’odio, da cosa è costituito e che ruolo ricopre nel terrorismo, nei massacri, nella discriminazione razziale e di genere, nelle lotte fratricide. Ma una domanda che spesso attanaglia il genere umano è come valutarlo e prevenirlo, e soprattutto riuscire a capire come si sviluppa in ogni individuo e nei gruppi. Inoltre spesso si confonde l’odio con la rabbia, ma in realtà essi presentano delle differenze.
Cos’è quindi l’odio? Dal punto di vista biologico amore e odio sono due emozioni che se pur di primo acchito appaiono differenti, spingono a compiere atti irrazionali, malvagi o anche eroici. Essi hanno lo stesso circuito cerebrale, cioè vengono attivate la stessa area della corteccia cerebrale e due distinte strutture della sottocorteccia, il putamen e l’insula, che si attivano particolarmente quando si è pervasi da un sentimento fortemente negativo e la loro attività è tanto più intensa quanto più profondi e radicati sono l’astio e l’avversione che si provano.
L’odio, secondo la teoria triangolare dell’odio di Sternberg, presenta tre caratteristiche che compongono anche l’amore e cioè l’intimità (negata), la passione e l’impegno. A seconda di quali di queste caratteristiche si attiva e da come esse s’intersecano si avranno diversi tipi e modi di odiare…
L’odio al pari dell’amore porta l’individuo a vivere una dipendenza da un altro che si trasforma in tristezza e desolazione nel momento in cui l’oggetto in questione scompare. Il terrorismo, come la guerra, è un sintomo del distacco dall’amore che affligge il nostro mondo, pieno di risentimento.
C’è poi la politica del risentimento, con campagne politiche che usano l’insoddisfazione e la rabbia della gente per guadagnare voti e consensi. Ci sono anche gruppi etnici e religiosi che non fanno altro che recriminare e fare ritorsioni gli uni contro gli altri.
Alla base di questo modo di vivere ci sono gli stereotipi e i pregiudizi legati a luoghi comuni, a conoscenze non verificate, a giudizi preconfezionati, che vengono alimentati e rinforzati continuamente.
La storia fornisce esempi di come l’applicazione di stereotipi, capri espiatori, processi di disumanizzazione e di discriminazione possano trasformarsi in massacri e perdere di vista la realtà. Ed ecco il fiorire di linguaggi e informazioni sempre più vessanti il cui obiettivo è quello di dare un’immagine negativa dell’oggetto d’odio.
Le parole sono leggere quando lodano, sono macigni quando insultano. Contano al punto che alcune frasi possono far nascere litigi, contrasti, crimini. Frasi che incitano alla discriminazione e intolleranza sessuale e di genere, ma anche e soprattutto razziale e religiosa. Il linguaggio dell’odio sempre più spesso invade i social e anche i media che amplificano le espressioni cosiddette “di pancia” usate dagli utenti…
L’hate speech ha delle conseguenze psicologiche su chi ne è il destinatario, alcune volte sfocia anche in violenze fisiche o addirittura in omicidio. Il linguaggio dell’odio danneggia molto, inconsapevolmente, chi lo esprime. Chi insulta crede di difendersi, chi è violento crede di prendere il sopravvento ma in realtà è molte volte più danneggiato di chi subisce l’insulto. È una manifestazione delle proprie paure, insicurezze, debolezze, in quanto chi è sicuro di sé non ha necessità di dimostrare nulla. Più si ama una persona, più si abbassa la voce, più uno è lontano umanamente e più è lontano da se stesso, diventando più barbaro. Se uno è imbarbarito dentro non fa altro che utilizzare un linguaggio offensivo. Oggi c’è un uso abnorme di parole offensive in quanto c’è un problema d’identità, di ruoli e si pensa che in questo modo si ha la possibilità di emergere e di assumere una posizione di supremazia. Ma è una supremazia apparente, intimidatoria. Le staffilate dell’hate speech sono, dirette nei confronti di migranti, stranieri, donne, omosessuali e possono provenire da uomini o donne, di qualsiasi condizione, ceto e livello d’istruzione e di qualsiasi regione italiana. In essi prevale un sentimento di rassegnazione, rabbia o aggressività…
Emerge, da un lato, l’esigenza di un’educazione al mondo digitale che dovrebbe partire già dalle scuole, dall’altro all’educazione del rispetto dell’altro e del diverso, agendo sulla riduzione dei pregiudizi e degli stereotipi.
Fondamentale è la conoscenza, sia dal punto di vista giuridico, psicologico, culturale. Occorre acquisire una maggiore consapevolezza dei propri limiti culturali, del proprio modo di pensare, sentire e agire, tenendo presente che la nostra prospettiva non è l’unica possibile. Questo porta a una ristrutturazione dei pregiudizi e degli stereotipi e motiva a una comunicazione più efficace con una conseguente sensibilizzazione interculturale.