Di Terry Bruno, psicoterapeuta e formatrice PNL
Negli articoli precedenti abbiamo parlato dell’apprendimento, quest’attitudine a cui ognuno di noi non può sottrarsi. L’apprendere è una particolare caratteristica insita nell’uomo. Proprio per questa peculiarità appartenente alla specie umana i bambini nascono motivati ad apprendere.
Ma come facciamo a riconoscere questa motivazione all’apprendimento? Dalla curiosità che il bambino manifesta con le sue domande e i suoi perché. La curiosità è l’innata motivazione che l’uomo ha insita in sé, ed è proprio su di essa che l’insegnante deve far leva per rendere l’apprendimento una sorta di gioco e non un obbligo a cui si cerca di sottrarsi.
Normalmente si è portati a spegnere questa curiosità: lo fa la famiglia, lo fa la scuola non alimentando, non rispondendo a quelle domande e a quei perché che sembrano assurdi proprio perché si discostano di molto dal mondo degli adulti. A scuola si tende a far apprendere ai ragazzi la matematica con le sue radici quadrate e le aree dei poligoni; la storia con le varie ere e guerre; per non parlare della chimica e della geografia astronomica. Spesso si sentono bambini e ragazzi che si chiedono e ci chiedono: «Ma a cosa serve sapere tutto ciò? ». Eppure queste informazioni, queste conoscenze potrebbero essere meglio acquisite come conseguenza dell’innato desiderio di apprendere.
Dal momento della nascita il bambino non fa altro che apprendere e voler conoscere, basti pensare agli oggetti che porta alla bocca per esplorarli in ogni particolare: la consistenza, l’odore, il sapore, la forma, e a quanti oggetti rompe per capire come sono fatti. È un apprendimento continuo come conseguenza della propria curiosità. È proprio questo atteggiamento conoscitivo che bisognerebbe alimentare.
I bambini non fanno altro che osservare gli adulti, in particolare coloro che rappresentano per loro delle figure significative, nei loro comportamenti e li ascoltano attentamente in particolare quando ciò che viene trasmesso è comunicato con passione e amore. Non dimentichiamo che ciò che i bambini percepiscono maggiormente è la comunicazione non verbale (linguaggio del corpo, tono, volume e ritmo della voce) e, quindi, le incongruenze tra ciò che si dice e ciò che si prova. L’insegnante può far leva sull’alunno se egli stesso ama quello che fa: può far nascere l’amore per la storia, ad esempio, se egli stesso la ama. Infatti il modo di parlarne, di descrivere gli argomenti, con trasporto e passione può essere molto coinvolgente.
È come portarlo all’interno dell’evento e far vivere emozioni che possono far imprimere nella memoria ciò che viene raccontato. La stessa cosa che avviene in noi, quando qualcuno ci racconta una storia o una vacanza con quel coinvolgimento a cui non ci si può sottrarre se non quello di trovarci lì e vivere l’avventura. È il ruolo che svolge la metafora ed è proprio per questo che la sua efficacia è indiscussa, perché permette all’interlocutore d’immedesimarsi nella situazione e di trarre apprendimento.Potremmo dire che il piacere d’imparare è in stretta relazione con il piacere, la gioia d’insegnare.
Un modo per poter alimentare la motivazione ad imparare è quello di alimentare le domande, di provocarle, in modo tale che alla fine gli alunni abbiano ancora voglia di sapere, di conoscere l’argomento, perché la loro curiosità non è stata completamente soddisfatta.
Se vogliamo, questo non è altro che la strategia della ricerca scientifica in cui il ricercatore non si sofferma alla prima risposta, ma continua a cercare in quanto ciò che ha trovato è fonte di nuovo interesse, di nuova curiosità. Ad esempio l’insegnante può partire da una domanda circa l’argomento da trattare: «Come nasce la pioggia?», ma invece di dare una risposta, di suggerirla o di fare una esposizione con immagini o oggetti, egli coinvolgerà i ragazzi a dare essi stessi una risposta, mediante un brainstorming, grazie alle loro precedenti conoscenze o a formulare eventuali ipotesi. Con la tecnica del brainstorming ci si astiene dall’effettuare critiche perché bisogna essere aperti a tutte le risposte che provengono dai partecipanti, in questo modo i ragazzi si sentono liberi di esprimere se stessi senza paura di sbagliare e di essere giudicati. Si elimina in questo modo anche l’ansia da prestazione e i più insicuri cominciano a prendere più confidenza con le loro capacità e le loro risorse.
Le informazioni che vengono raccolte vengono trascritte e discusse senza giungere a delle conclusioni definitive, perché i ragazzi saranno impegnati a cercare al di fuori della scuola, nell’ambiente familiare e non, le risposte alla domanda di partenza. Le informazioni e i materiali raccolti saranno poi oggetto di discussione a scuola. Questo può essere effettuato anche in piccoli gruppi per instradare i ragazzi al lavoro di gruppo e a responsabilizzarsi, rispondendo in modo adeguato alle aspettative che gli altri componenti del gruppo hanno reciprocamente. Una volta raccolti i vari lavori si giunge alla sintesi finale effettuata dall’insegnante che potrà avvalersi anche del libro di testo.
Questo lavoro permette anche di poter effettuare ulteriori approfondimenti in altre materie, inerenti alla domanda iniziale: ricerche geografiche (fiumi, mari, laghi, zone climatiche, ecc.), ricerche storiche (alluvioni, dalla primordiale di Noè alle più recenti, ecc.), ricerche botaniche (le piante: vantaggi e svantaggi delle piogge, ecc.), ricerche fisico-chimiche (l’acqua, l’umidità, ecc.), ricerche linguistiche (poesie, letture, descrizioni, ecc.).
Oltre la curiosità vari sono i fattori che possono motivare all’apprendimento: la stima di sé, la necessità di affermazione e di divenire abili nell’eseguire delle attività, la capacità di sopportare insuccessi, la voglia di conoscenza. Tutti questi fattori sono correlati tra loro. È noto che l’interesse verso qualcosa aumenta quando si ha successo e si riesce a concludere positivamente ciò che si è iniziato, mentre l’insuccesso porta all’abbandono e fa calare l’interesse. Gli insegnanti, quindi, dovrebbero tendere a creare situazioni che siano adeguate alle capacità dei loro alunni, in modo tale che essi possano avere successo nell’eseguirle. Questo porta ad un aumento della stima di sé con conseguente crescita della motivazione a continuare e viceversa.
Possiamo definire questo passaggio una reazione anfotera. Nella mente dell’alunno si crea, così, un’immagine positiva in quanto il ritenersi bravo, abile, capace, adeguato aumenta la fiducia di sé e la motivazione ad apprendere.
Il compito, quindi, dell’insegnante è rendere possibile le vittorie, e da queste partire per delle nuove. L’esperienza di vincere nuove sfide è molto importante per la crescita dell’autostima e la bravura dell’insegnante sta proprio nel calibrare questa progressione, in quanto il modo in cui egli reagisce agli errori dello studente può avere ripercussioni per tutta la vita del ragazzo.
C’è un principio semplice che governa il funzionamento del sistema nervoso: se qualcosa è piacevole il sistema nervoso ne vuole di più; se non è piacevole, il sistema nervoso lo rifiuta (R. Dilts – T. Epstein).