L’apprendimento intelligente: il problem solving a scuola

Di Terry Bruno, psicoterapeuta e formatrice PNL

Secondo una comune ed elegante definizione, l’intelligenza non è altro che la capacità di apprendere ad apprendere. In genere chi possiede tale dono è in grado di risolvere i problemi ma diventa anche cosciente delle strategie che utilizza. In questo modo si crea, a livello mentale, una serie di alternative da poter utilizzare a seconda del problema specifico in esame.
Si può usare bene l’intelligenza anche senza sapere in cosa consista: essa, in genere, si manifesta come “abilità”, cioè, come capacità acquisita con l’esperienza.
Alcuni bambini imparano a rappresentare le conoscenze in vari modi, altri utilizzano procedure rigide limitate a pochi obiettivi.
Allora ci si potrebbe chiedere: perché alcuni bambini sono più bravi di altri nel trasferire l’apprendimento da una situazione all’altra?
Asserire che i primi sono più svegli o più in gamba o più intelligenti non è assolutamente una spiegazione. Tutti i bambini imparano i modi migliori di apprendere, grazie all’utilizzo di strategie, spesso non visibili in quanto al di sotto della soglia di coscienza.
Secondo la PNL (Programmazione NeuroLinguistica) è possibile conoscere le strategie di chi abbiamo di fronte osservando i movimenti oculari, ascoltando i predicati verbali usati nel linguaggio e osservando il linguaggio del corpo. La conoscenza di tali strategie risulta essere molto importante nell’apprendimento, particolarmente nel caso di studenti che risultano lenti per l’utilizzo di strategie troppo lunghe e ridondanti. L’insegnante, ad esempio nei primi giorni del periodo scolastico potrebbe insegnare le strategie efficaci e passare in seguito allo svolgimento degli argomenti inerenti al programma scolastico.
Se s’insegna preventivamente la strategia per incorporare gli argomenti trattati, risulterà più facile ed efficace l’apprendimento del contenuto.
Un buon apprendimento è anche collegato alla risoluzione dei problemi. Più soluzioni troviamo, più impariamo a trovarne, sia perché ci rendiamo conto di come funzionano le cose, sia perché diventiamo più esperti su come si possono risolvere.
Spesso abbiamo difficoltà nella risoluzione di un problema in quanto siamo talmente coinvolti emotivamente da perdere la lucidità d’interpretazione; da situazioni che c’impediscono di trovare strategie risolutive, creando comportamenti negativi e pessimistici.
Per poter migliorare la nostra capacità di risoluzione, un metodo efficace è il Problem Solving che trae il suo significato, non solo dal fatto che assume una valenza formativa, ma anche dal fatto che nasce da una domanda.
Un problema, in genere, nasce da una domanda e la scuola deve configurarsi come un luogo delle domande: degli alunni, dei singoli alunni e non solo dei docenti.
Gli alunni sono coloro che devono apprendere e, quindi, sono loro che devono porre le domande.
Perché il sole riscalda più d’estate che d’inverno? Perché gli uccelli volano? Perché si deve usare l’articolo i (il) e ora l’articolo le (la)? Perché?
Una serie di perché che richiedono risposte. Ma tutto questo è importante non solo per accrescere il proprio sapere, ma anche per aumentare le proprie capacità e diventare abili solutori di problemi, in modo autonomo.
I problemi devono essere risolti dagli alunni, grazie all’aiuto dei docenti che li aiutano a cercare, scoprire, inventare e costruire da soli le soluzioni. In questo modo diventano autonomi.
Dice un proverbio cinese: “Se dai un pesce ad un affamato lo sfami per un giorno, se gli insegni a pescare lo sfami per tutta la vita”. Ed è appunto questo il compito della scuola, insegnare agli alunni come affrontare i problemi, cioè insegnare ad apprendere.
Per apprendere bisogna comprendere, cioè, occorre mettere insieme (cum, insieme, e prehendere, prendere = mettere insieme), costruire, inventare, scoprire i concetti.
Pensiamo a dei concetti semplici in geometria: la definizione dei triangoli equilateri, isosceli e scaleni. Tali definizioni possono essere ripetute dagli alunni che possono, però, continuare a confondere i triangoli tra loro a meno che non abbiano compreso che i primi sono costituiti da tutti e tre i lati uguali, che i secondi ne hanno solo due uguali e i terzi hanno i lati tutti diversi.
Non c’è bisogno, così, di affidare alla memoria le informazioni conoscitive perché queste possono essere riattivate in qualsiasi momento.
L’approccio per problemi riguarda i saperi scientifici e tecnici come quelli letterari, storici e filosofici.
Prendiamo come esempio l’uso del problem solving nell’insegnamento della matematica. In genere quando si parla o si pensa alla matematica viene in mente sempre qualcosa di astratto o un insieme di numeri che si susseguono, spesso senza comprensione (per i non addetti).
Se vogliamo interessare e portare i ragazzi ad apprendere la matematica dobbiamo cercare di coinvolgerli e di indurli a ragionare, a trovare soluzioni.

Possiamo partire dalla domanda: «Cos’è questo?» Silenzio.
Il bambino può dire tante cose: è una schifezza, è un foglio di carta, è un fazzoletto, ecc. «È un quadrato».
In questo caso siamo già dentro la matematica.
Un quadrato ha 4 lati e 4 vertici. È una forma. I bambini, così, possono iniziare a collegare che un foglio di carta, o un fazzoletto, o altro ha la forma di un quadrato.

Ma se io mostro un altro disegno, apparentemente più complicato e chiedo: «Ditemi, ora, cosa è questo?», qualcuno può rispondermi che è una finestra, ma qualcun altro può iniziare a parlare di un affare fatto da quattro o cinque quadrati, a seconda del livello di astrazione raggiunto.
La domanda “Che cos’è?” porta il soggetto a chiedersi quanti sono. Quindi “Quanti quadrati ci sono?”. Si parte, così, da una struttura fondamentale che è il quadrato, per poi passare a quante volte la struttura fondamentale è contenuta nel disegno.
In realtà i quadrati sono 5, in quanto i 4 più piccoli sono contenuti in uno più grande.
>Per il bambino, però, non è ancora presente il passaggio ad una struttura con una forma indipendente rispetto a come si presenta a lui.
A questo punto possiamo chiedere: “Quanti lati ci sono in tutto?”.
Possiamo avere un momento di panico in quanto sono troppi i lati, in realtà sono 20.
Da 4 quadrati contenuti in uno grande si può passare ad un disegno in cui un quadrato grande è diviso in 9 piccoli.
“Quanti quadrati ci sono?”. Ora non basta solo contare, ma bisogna stabilire una strategia per non perdersi.
Facendo tutte queste domande, non si fa altro che far riecheggiare nella mente del bambino il nome della struttura fondamentale “quadrato”.
In questo caso l’apprendimento si realizza attraverso le attività di ricerca / riscoperta / reinvenzione / ricostruzione (problem solving).
L’apprendimento per scoperta risulta essere congeniale, quindi, ad una scuola che deve operare in una società in rapida trasformazione, in cui è importante acquisire oltre che un notevole bagaglio di conoscenze, la capacità di saper affrontare nuove situazioni e soprattutto la voglia, il desiderio, di apprendere, imparare e studiare, recuperando la natura profonda dell’uomo, cioè la cultura, la ricerca e l’amore del sapere.