La comunicazione nella relazione educativa. Un nuovo approccio nella dinamica relazionale: il linguaggio non verbale

Di Terry Bruno, psicoerapeuta e formatrice PNL
Pubblicato su “Tuttoscuola”, ottobre 2002 n. 425

In questa nostra società in continua evoluzione si avverte sempre più il bisogno di essere al passo con i tempi, d’interagire sempre più efficacemente per raggiungere quegli obiettivi utili nell’ambito della propria professione. Alla base di questa necessità c’è il fenomeno “comunicazione”, verso cui, in modo sempre più imperativo, è posta l’attenzione da ogni campo professionale.
Anche il settore scolastico sembra seguire questa scia, in quanto, quando si parla di “studio”, non si può fare a meno di parlare di comunicazione, perché il successo o l’insuccesso dell’apprendimento e dell’azione didattico-educativa si basano anche sulla qualità della comunicazione. L’insegnamento è, infatti, un’attività in cui è fondamentale la comunicazione.
Il termine comunicare deriva dal latino “communicare”, da “communis” “comune” che significa trasmettere, partecipare agli altri messaggi tramite segni, parole, relazioni.
Affinché la comunicazione possa avvenire è necessario che vi siano almeno due soggetti: un emittente e un ricevente. Si crea, così, una bidirezionalità vale a dire una dinamica relativa a parole, gesti, sguardi che passa da un individuo all’altro. Quello che bisogna sempre tenere presente è che non basta trasmettere un messaggio verbalmente ma anche considerare cosa succede in chi lo riceve, cioè come è costituito il suo modello del mondo che influenzerà la comunicazione successiva. Questo è di fondamentale importanza per capire il diverso comportamento e approccio al processo educativo che porta ad un apprendimento di nuovi comportamenti. Questi comprendono sia i comportamenti esterni (azioni) che interni (emozioni, pensieri, sensazioni). Questi ultimi sono soggettivi ed influenzano quelli esterni che, invece, concorrono a definire gli interni.
Ogni comportamento è il risultato di informazioni apprese sull’universo esterno (come anche dei propri stati interni) attraverso i nostri cinque sensi o sistemi rappresentazionali. Tali informazioni vengono, poi, trasformate ed elaborate dal nostro cervello dandoci una rappresentazione della realtà soggettiva. Questa diversa percezione determina una diversa costruzione del proprio modello del mondo (costituito dalle proprie esperienze) anche se si vive in ambienti sociali e culturali simili. Non esistono, infatti, due modelli del mondo identici, perché ognuno di noi percepisce la realtà attraverso immagini, suoni, percezioni tattili, gustative e olfattive che caratterizzano la propria identità. Come conseguenza per poter interagire meglio con gli altri bisogna entrare nel loro modello del mondo, capire cioè le loro strategie, i loro bisogni.
A partire da queste considerazioni il compito del docente potrebbe essere quello di identificare i vari “linguaggi” che gli alunni usano per pensare e poter, così, trasmettere le informazioni nella stessa lingua. Ma, affinché questo possa avvenire, è importante imparare a comunicare integralmente.
La comunicazione integrale o meglio globale è costituita dall’integrazione della comunicazione verbale o digitale con quella non verbale o analogica. Quest’ultima sorregge e dà ulteriori informazioni alle parole che vengono trasmesse e costituisce il feedback necessario per capire come correggere e migliorare la propria comunicazione, il proprio insegnamento.
L’osservazione, allora, di segnali non verbali come: cenni del capo, alterazioni del respiro, l’osservazione dei movimenti oculari, i cambiamenti del tono della voce, permettono di poter seguire, passo dopo passo, come procede il processo didattico.
Bisogna ricordare che la responsabilità di non essere riusciti a far capire agli altri i propri messaggi è solamente di chi comunica.
Secondo Paul Watzlawich la comunicazione avviene su due livelli: il piano del contenuto e quello della relazione che definisce il primo. Il livello del contenuto è determinato dalle parole recepite dall’emisfero sinistro del nostro cervello che governa tutto ciò che è analitico, razionale, verbale; quello della relazione è, invece, definito dal linguaggio del corpo e dal paraverbale (tono della voce) recepiti dall’emisfero destro cioè dalla mente inconscia che pensa per immagini, raffigura, visualizza, offre “metainformazioni” in altre parole informazioni sulle informazioni verbali. Infatti, il verbale ha una valenza solo del 7% nell’efficacia di una comunicazione, il resto è determinato dalla parte analogica.
Da questo si può evincere che fin quando la relazione è positiva o neutrale i messaggi possono giungere all’altro senza impedimenti. Se, invece, uno dei due interlocutori non si sente a proprio agio (ansia, nervosismo, convinzioni, rabbia, timore, insicurezza, disistima) la relazione diventa più importante del contenuto. Allora si è “distratti” in quanto le parti più antiche del cervello (il cervello rettile) entrano in funzione disturbando l’attività analitica del cervello pensante, senza il quale non si può prestare ascolto e riflettere sulle informazioni che ci vengono inviate. Questo può spiegare il perché un tono aggressivo per un rimprovero o una recriminazione, oppure una gestualità troppo incisiva e minacciosa possono peggiorare la comunicazione e quindi l’apprendimento.

Per avere un’idea più chiara di ciò che sarebbe opportuno attuare affinché un’attività didattica possa essere efficace e facilitata, possiamo tirare le fila di quanto è stato detto, sottolineando quali sono i punti focali da considerare:

 

  • costruzione di un buon rapport che è alla base di una comunicazione efficace. S’intende la creazione di una sintonia, un feeling per migliorare l’interazione con i propri interlocutori (alunni, colleghi, capo d’istituto, genitori, famiglia, amici, ecc.). In questo caso è opportuno ricalcare l’interlocutore avendo la flessibilità necessaria per individuare il suo linguaggio e il suo comportamento per integrarlo nel proprio discorso e nelle proprie azioni. Si cerca, in pratica, di calarsi nei panni dell’altro e capire il suo mondo, in modo da poter comunicare con lui utilizzando il suo linguaggio, il suo modo di pensare. È una sorta di “ascolto attivo” che si attua riprendendo alcuni dei termini usati. Esempio; se l’alunno dice: “Sento di aver bisogno di approfondire questo punto”, potremmo rispondere “Va bene, capisco che senti il bisogno di un approfondimento…”. I bravi insegnanti usano intuitivamente il ricalco. Ma anche il ricalcare il tono e il ritmo della voce, la gestualità, la postura dell’interlocutore, permette di entrare in una buona relazione anche con persone con cui non si ha familiarità;
  • definizione del proprio ruolo d’insegnante acquisendo una maggiore consapevolezza e equilibrio interiore;
  • individuazione delle caratteristiche psicologiche degli allievi in base al tipo di canale rappresentazionale che essi utilizzano. Alcune persone hanno, infatti, un orientamento prettamente visivo, altre invece fanno fatica a sviluppare immagini e a pensare visivamente. Ci sono persone, invece, che hanno un orientamento uditivo, sono colpite dai suoni, mentre altre sono marcatamente indirizzate tattilmente in quanto apprendono e capiscono attraverso la manipolazione e l’azione. Bisogna, quindi, tener presente che chi ci circonda ha punti di forza e di percezione differenti.

L’ambiente scolastico, in genere, ha un orientamento visivo e auditivo. Spesso accade che molti ragazzi etichettati come “ritardati”, “incapaci”, sono tutt’altro che “stupidi”: hanno semplicemente strategie di apprendimento diverse dalle tecniche didattiche utilizzate.
Per i docenti, quindi, l’individuazione dei canali rappresentazionali verso cui gli studenti sono maggiormente proclivi, può essere d’aiuto per capire meglio gli interventi educativi da adottare:

  • acquisizione di una maggiore conoscenza dei segnali analogici (variazione del tono di voce, gestualità, postura, mimica facciale, movimenti oculari) quale espressione di una comunicazione profonda e subliminale;
  • potenziamento della creatività, percezione e ascolto attivo da applicare su se stessi e di conseguenza sugli alunni. Questo è possibile ottenerlo grazie alla capacità d’identificare e incorporare nel proprio linguaggio le parole chiave, le metafore e gli esempi più usati dagli interlocutori. In questo modo si possono condividere le medesime mappe mentali e sviluppare una buona relazione favorendo un migliore apprendimento. Le metafore e le citazioni, inoltre, rappresentano un modo di comunicare indirettamente con chi ascolta perché è possibile inviare messaggi (valori, comportamenti, insegnamenti) senza che questi alzi le sue barriere.

La conoscenza del linguaggio non verbale nella relazione educativa permette di scoprire le proprie competenze inconsce; di capire meglio se stessi e le possibili credenze limitanti che possono condizionare il proprio insegnamento; d’individuare i diversi stili di pensiero e di strategie riuscendo ad interagire meglio con gli altri; di acquisire nuovi modi comunicativi per una migliore comprensione dell’attività didattica.
Certo spesso difficilmente si è consapevoli di tutto quello che si fa mentre lo si fa, ma una migliore conoscenza di ciò che può aiutare a mettere a proprio agio se stessi e gli altri facilitando la relazione e di conseguenza la comprensione e l’apprendimento, è uno degli obiettivi verso cui la Scuola di oggi si sta sempre più orientando, incoraggiando l’utilizzo delle proprie capacità e risorse personali.