Un viaggio tra parole gesti suoni: metafora di vita nella comunicazione

28 Ottobre 2005 presso la “Libreria Bibli” di Roma
Presentazione Terry Bruno.

Roberta Pellini e Fabrizio Temperini hanno letto brani dal libro ‘Giardini a Samarcanda’ di Giuliana Spadaro, Serarcangeli Editore. Serata di conversazioni in cui si è parlato`di comunicazione e di metafora come tecnica utilizzata dalla Programmazione NeuroLinguistica. La lettura di alcuni brani del libro “Giardini a Samarcanda” di Giuliana Spadaro ha offerto spunti di riflessione ed aiutato a vedere al di fuori degli schemi abituali di pensiero.
È stato il primo di una serie di incontri pomeridiani in cui si parlerà di comunicazione, programmazione neurolinguistica, potenziamento personale, autostima, famiglia ed altro ancora.
In tale occasione è stato presentato il programma formativo della EARTH per il 2005-2006.

Buona sera a tutti,
Stasera diamo il via ad una serie di incontri in cui si avrà modo di confrontarsi e, possibilmente, chiarire eventuali dubbi circa le tematiche che verranno trattate in seguito.
Prima d’iniziare vorrei presentarmi. Molti di voi già mi conoscono: mi chiamo Terry Bruno. Sono psicologa, psicoterapeuta, trainer in PNL e presidente della EARTH. Come forse avete già avuto modo di leggere sull’invito, la Earth è una Scuola di Formazione in ambito comunicazionale, scolastico, psicologico, aziendale, sportivo e criminologico.
Il nostro modello di riferimento è la PNL che è l’acronimo di Programmazione Neurolinguistica, creata da Richard Bandler (matematico e psicologo) e John Grinder (linguista). Insieme hanno iniziato a studiare i migliori rappresentanti del mondo della psicoterapia e comunicazione creando, così, i modelli della capacità di comunicare e come poterli insegnare ad altri, per poter ottenere gli stessi risultati. Ed proprio la comunicazione il tema del nostro primo incontro, nodo fondamentale, basilare della nostra vita.
Ma prima di addentrarci nel mondo della comunicazione, forse molti di voi si staranno chiedendo cosa significhi Programmazione Neurolinguistica:
Programmazione si riferisce ai modelli e ai programmi di comportamento e di pensiero che noi utilizziamo, per ottenere dei risultati specifici. Un esempio lo abbiamo quando entriamo per la prima volta in una stanza è qualcuno ci dice di aprire una finestra. Noi la guardiamo e decidiamo di saperla aprire. Ma se ci chiedono come facciamo a sapere di poterlo fare in quanto è la prima volta che la vediamo, noi ci accorgiamo di fare tali associazioni: “Vedo la finestra, riconosco la sua forma e la sua maniglia e la paragono agli oggetti identici che sono nella mia memoria. Per cui posso applicare il comportamento di apertura che già conosco”. Quindi facciamo riferimento alla nostra realtà interiore e non alla finestra. La nostra attenzione si sposta su di essa solo nel momento in cui ci accorgiamo che la finestra non si apre, quindi c’interessiamo alla realtà. Potremo, quindi, dire che ciascuno di noi, per tutta la vita, si fa un’idea del mondo dentro di sé, si potrebbe dire che tracciamo su una “carta” i nostri obiettivi, progetti, in cui cerchiamo ciò che ci si dice, identifichiamo ciò che vediamo, sentiamo o proviamo.
Neuro si riferisce al modo in cui il nostro cervello funziona, o meglio come vengono trasferite le informazioni al nostro cervello e come da questi ai nostri comportamenti;
Linguistica si riferisce al modo come le nostre esperienze sono rappresentate dal nostro linguaggio, sia esternamente nella comunicazione con gli altri, sia internamente, col dialogo interiore.
Tutti usiamo strategie e schemi comportamentali ben radicati. Ad es. quando guidiamo un’automobile, o scriviamo una relazione, o eseguiamo un lavoro. Non facciamo altro che utilizzare schemi e modelli inconsci, cioè li mettiamo in atto automaticamente, spontaneamente senza pensarci. È difficile fare molta attenzione ad ogni singolo pensiero e agire di conseguenza quando guidiamo l’automobile, infatti basta pensare al momento in cui abbiamo imparato a guidare, quante difficoltà abbiamo incontrato e tutto ci sembrava difficile.<
Sarebbe impossibile vivere, se dovessimo riflettere su ogni pensiero e su ogni azione che intraprendiamo. Il termine “programmazione” si riferisce proprio a quei modelli di pensiero e di comportamento che si manifestano a livello inconscio. La Pnl ci permette di analizzare le strategie – consce e inconsce – che le persone di successo usano e di adottarne alcuni aspetti.
In ambito sportivo, ad esempio è molto utilizzata per effettuare una preparazione mentale, per affrontare le convinzioni limitanti, per costruire delle performance di successo. Questo non significa che ogni giocatore di calcio possa essere un Ronaldo, o un giocatore di golf un Tiger Woods, significa che usando alcune delle loro strategie fondamentali tutti noi possiamo migliorare sensibilmente il nostro gioco.
Questa sera faremo un viaggio tra gesti parole e suoni, cioè un percorso tra i pilastri della nostra comunicazione: quei lampioni che illuminano la strada che percorriamo rendendocela chiara, lieve e risonante.
Forse alcuni di voi si chiederanno come mai parliamo di gesti e suoni nella comunicazione, in quanto il nostro modo di comunicare si basa principalmente sulle parole e su come esse sono strutturate in un discorso? E che cosa determina il coinvolgimento emotivo, il feeling? Sino a poco tempo fa , ma purtroppo ancora oggi il tutto era dovuto al caso. In realtà è stato dimostrato che in una comunicazione efficace le parole influiscono solo nel 7%, mentre il 38% è dato dal paraverbale (tono, ritmo, e volume della voce) e il restante 55% è dato dal linguaggio del corpo. Ora vi faccio un esempio per farvi toccare con mano e, quindi rendere più chiaro e risonante ciò che ho appena detto. “Può aprirmi la porta per favore?”…
Avete potuto notare l’effetto che in ognuno di voi ha creato il mio diverso modo di esprimermi, pur avendo utilizzato le stesse parole. Pensate a come le nostre espressioni del viso, il nostro tono di voce, la nostra postura influisca nel nostro modo di comunicare. Spesso si crea un’incongruenza tra ciò che diciamo verbalmente e ciò che esprimiamo con il linguaggio del corpo, ed è quest’ultimo quello che lascia il segno. Esempio rivolgendoci a nostro figlio, che ci ha chiesto di parlarci in un momento per noi poco opportuno, gli diciamo: “Dimmi, sono molto contenta di parlare con te”, scuotendo la testa in segno negativo e con un espressione del viso poco felice. Come risposta possiamo avere un blocco da parte dell’interlocutore perché non si sente a proprio agio e può dire: “Ho cambiato idea” oppure “Non fa niente era una sciocchezza” e noi lì dietro a cercare di convincerlo a parlare e non capiamo come mai, noi siamo così disponibili e lui non vuole parlarci.
Watzlawick diceva “Non si può non comunicare”, Ogni comportamento è comunicazione. Pensiamo al silenzio dopo un litigio con il proprio partner; noi sappiamo benissimo quante parole non dette contiene quel silenzio e come sia insopportabile; pensiamo al rossore che appare sulle gote come conseguenza di un complimento inaspettato o al cambiamento di espressione o di respirazione. Tutto questo ci comunica uno stato interiore di disagio, imbarazzo, paura.
Ma il significato della comunicazione è dato dalla risposta che si riceve che influenzerà la comunicazione successiva.
Es. un litigio tra coniugi: il marito torna a casa e saluta a mala pena la moglie, la quale poco dopo ad una sua domanda gli risponde con voce irritata. A questo punto inizia la danza:
il marito: “Si può sapere cosa ti ho fatto?”la moglie: “Tu non hai visto la faccia che hai fatto appena entrato!”
il marito: “Ah, perché tu non ricordi quello che mi hai detto stamattina prima di uscire di casa”
Risposta: “Dopo quello che mi hai combinato!”
e via dicendo, con ognuno che dice: “Hai iniziato prima tu”, “no, hai iniziato prima tu”.
Questo è un tipico esempio di comunicazione che avviene quotidianamente e che porta, spesso, a incomprensioni, malumori, rabbie.
In una comunicazione efficace il risultato è più importante dell’intenzione. È la reazione che il proprio messaggio scatena nell’altro ad informarci, in modo più sicuro, dell’efficacia della propria comunicazione. Es.: un insegnante si pone l’obiettivo d’insegnare qualcosa ai propri alunni. Se dopo una dimostrazione completa quasi tutti gli allievi non hanno compreso la spiegazione, ha poca importanza il pensare, da parte dell’insegnante, di aver spiegato bene sarà, invece, molto importante cercare di capire dove la sua spiegazione non è stata più recepita e, quindi, riformularla diversamente, verificando gradualmente il grado di comprensione.
Se ognuno di noi fosse in grado d’interpretare l’interlocutore, riuscendo ad entrare nella sua mappa del mondo, molti equivoci, malintesi sarebbero evitati.
Questo avviene perché non esistono due persone che abbiano la stessa percezione della realtà, la stessa mappa del mondo, anche se sono vissuti nello stesso ambiente, e ciò dipende da come riceve le informazioni dall’ambiente esterno e da come si rappresenta la realtà. Per cui ognuno di noi ha un’esperienza del mondo soggettiva, sensorialmente basata. Basti pensare alla descrizione di un incidente da parte di alcuni testimoni: non esistono due descrizioni uguali, perché ognuno ha ritenuto informazioni in base al proprio canale sensoriale principale.
Proprio le diversità che caratterizzano ognuno di noi ci fanno capire l’importanza di riuscire a comunicare in modo efficace. Un modo è adeguarsi a chi ci è di fronte mettendosi in rapport con lui, cioè entrando in sintonia, in modo da farlo sentire a proprio agio, aperto e disponibile alla nostra comunicazione. Poi ascoltarlo in modo attivo, e non come siamo spesso abituati a fare in modo intermittente: cioè mentre l’altro parla, noi viaggiamo con la nostra mente verso altri lidi, oppure pensiamo alla risposta che vogliamo dare. In entrambi i casi non facciamo altro che perdere tante informazioni utili al raggiungimento del nostro obiettivo. Non dobbiamo dimenticare che quando comunichiamo noi abbiamo sempre un obiettivo: quello di farci capire e di fare in modo che gli altri condividano ciò che stiamo dicendo. Non dobbiamo mai perdere di vista questo. A questo punto potreste domandarmi: “Perché devo essere io ad entrare nella mappa del mondo dell’altro, ad entrare in rapport e a metterlo a suo agio?”. La mia risposta è: “Chi ha l’esigenza di far passare la comunicazione?”
Il modo di riuscire ad interagire con i propri interlocutori, variando il proprio comportamento per poter raggiungere il risultato voluto è ciò che chiamiamo flessibilità. In comunicazione è importante uscire dalla propria visione del mondo e adottare quella del proprio interlocutore. Questo è particolarmente utile in terapia o nell’organizzazione aziendale.
In tutti i casi, la conditio sine qua non, è entrare in rapport ricalcando, ad esempio, il comportamento non verbale dell’altra persona. Ricalcare il linguaggio del corpo è una cosa che tutti facciamo inconsciamente, basta vedere due innamorati al ristorante, è possibile osservare come entrambi, per lo più inconsapevolmente, compiono movimenti quasi sincronizzati con gli stessi ritmi e con la stessa postura. Se ci avviciniamo a loro potremmo scoprire che anche il ritmo della respirazione e della parlata è simile, così come il volume della voce.
Creare un rapport con una persona che si vuole sedurre, persuadere, motivare, o cui si vuole vendere qualcosa, è l’obiettivo per chi vuole comunicare efficacemente. Questo è possibile per tutti coloro che, in modo flessibile, sono in grado di avere una vasta gamma di comportamenti differenti. Ricordate che la flessibilità è la dote più importante per un buon comunicatore. Quindi, è importante la sincronizzazione che stabilisce uno stretto contatto con il livello conscio e inconscio di un interlocutore.
La sincronizzazione consiste nel riflettere all’altro la propria immagine, nell’inviargli segnali non verbali che può facilmente identificare, in modo inconscio con i suoi e che sono per lui segni di riconoscimento. La sincronizzazione instaura un clima di confidenza, che dà all’interlocutore il desiderio di voler dire di più, perché si sente ascoltato e riconosciuto per quello che è. Si finisce così col creare un rapport.
Ma a cosa serve la sincronizzazione?

  • A creare un clima di fiducia per poter raccogliere informazioni e condurre un colloquio.
  • In occasione di un primo incontro con una persona sconosciuta (nuovo collega, relazione personale, superiore gerarchico, subordinato…).<
  • All’inizio di un colloquio (di assunzione, commerciale, medico…).
  • Per migliorare il lavoro in gruppo (sincronizzandosi su ogni partecipante a cui ci si rivolge).
  • Per negoziare una fase difficile di una conversazione.

Infatti, quando compare una tensione o un disaccordo, la sincronizzazione permette di mantenere il contatto.
Possiamo, quindi, dire che genera un rapporto che ci permette di guidare il colloquio.
Ma un messaggio, un informazione, noi lo possiamo trasmettere non solo in modo diretto, ma anche indiretto, attraverso l’uso di storie, aneddoti, film, favole, similitudini che hanno il potere di arrivare direttamente all’inconscio. Esse fanno parte del linguaggio evocativo. Il meccanismo d’azione è quello della proiezione e dell’identificazione, che solitamente un individuo tende ad attuare nei confronti dei personaggi e delle situazioni di un racconto.
La proiezione non è altro che l’attribuzione di un proprio desiderio o impulso ad un’altra persona o situazione o oggetto, cioè proiettiamo negli altri quello che è dentro di noi. Il detto popolare, ad esempio, “Chi ruba vede gli altri ladri” è una semplificazione del meccanismo della proiezione.<
L’identificazione è il processo in cui noi diventiamo gli altri, ed è proprio nel momento in cui l’ascoltatore o il lettore s’identifica nella storia, essa si trasforma in metafora. Infatti cosa significa metafora: è un modo di dire una cosa in termini di un’altra cosa, cioè si trasferisce ad un oggetto o animale o concetto, le caratteristiche proprie di un altro oggetto, animale o concetto. Ad esempio nella favola Il lupo e l’agnello, il lupo assume le caratteristiche dei prepotenti e l’agnello degli innocenti e indifesi.
È quel modo, quindi, di sentirsi dentro la storia, proiettarsi, identificarsi e dirsi: “Ma questo sono io, è la mia storia”.
Dal punto di vista comunicazionale è un modo più chiaro e preciso di trasferire informazioni. Usiamo ciò che è già noto all’interlocutore per comunicargli nuovi concetti e nuove esperienze. La metafora ha la stessa attività del problem solving, cioè stimola la soluzione del problema perché incoraggia la mente a connettere i diversi livelli cognitivo ed emotivo, intuitivo e razionale e, quindi, a sviluppare nuove associazioni.
La metafora è presente da tempi remoti basti pensare alla Bibbia, scritta nel linguaggio metaforico. Gesù Cristo utilizzava le parabole, metafore così efficaci da essere attive da oltre 2000 anni.
La mitologia greca è ricca di metafore con i suoi miti.<
Le fiabe hanno un posto di rilievo in tutte le culture e società per la formazione del carattere del bambino. Infatti al bambino viene insegnato in forma simbolica che la lotta per la sopravvivenza è inevitabile e fa parte dell’esistenza umana, ma alla fine, dopo aver superato le avversità, si diventa più forti.
Le metafore, per noi adulti, non sono altro che delle fiabe in quanto hanno un effetto “regressivo” perché ci fanno tornare inconsapevolmente bambini, con tutte le risorse positive di creatività e di curiosità.
Quando ascoltiamo un racconto metaforico la nostra componente emotiva si abbandona al potere evocativo delle immagini.
Oggi vorremmo proiettarvi nel mondo metaforico, per cui ascoltiamo e lasciamoci andare….
E’ stato meraviglioso immergersi in questa atmosfera creata in modo mirabile da Roberta e Fabrizio che sono riusciti a farci entrare nel magico mondo di una storia tratta dal libro “Giardini a Samarcanda” di Giuliana Spadaro che è qui con noi, e che ringrazio per averci dato questa opportunità.
Questa splendida cornice è stata resa possibile dal modo in cui è stato letto il brano, in quanto sono riusciti a trasportarci dentro la storia. Quando si racconta una storia a qualcuno è importante che egli vi sia dentro e non si mantenga all’esterno.
Ogni volta che raccontiamo una fiaba a un bambino o un aneddoto o una storia ad un paziente, ad un adulto accumuliamo almeno tre realtà:

  1. la realtà del nostro parlare alla persona in un dato ambiente;
  2. la realtà della rappresentazione che il soggetto dà al proprio problema;
  3. la realtà della rappresentazione che la persona dà della metafora in rapporto al suo problema. Questo insieme delle realtà non è altro che il concetto del “cumulo delle realtà” che riguarda esperienze che sono rappresentate contemporaneamente a più livelli di significato. Questo concetto del cumulo delle realtà mi ricorda un quadro su una parete in cui è visibile un quadro appeso ad una parete, in cui si vede un quadro appeso ad una parete ecc.. Tutto questo significa che ogni persona rappresenta buona parte della sua esperienza a diversi livelli, ognuno dei quali è una rappresentazione altrettanto attendibile rispetto alla successiva.

Come possiamo agire a più livelli e, quindi, accumulare più realtà?
Ad esempio con il contrassegno analogico, cioè mettendo in risalto in una comunicazione alcuni concetti di particolare importanza con il cambiamento del tono della voce, dell’espressione del viso o del contatto fisico da parte di chi racconta. Ad es. si può usare un tono di voce severo parlando di guai in cui si caccia il protagonista, un tono più basso per parlare di sogni e speranze, un tono più alto per parlare di cambiamenti. Questo è ciò che fanno da tempo i narratori provetti e che stasera Roberta e Fabrizio ci hanno fatto toccare con mano in modo così esemplare.
Le comunicazioni che agiscono a più livelli sono virtualmente irresistibili.
I racconti sono flessibili e possono essere utilizzati come canali per diversi tipi di comunicazione. Se da una parte possono suggerire soluzioni ai problemi, dall’altra possono anche presentare opinioni, dare istruzioni o suggestioni per l’azione e permettere all’ascoltatore di vedere le cose in modi nuovi e differenti.
Come nel brano che avete appena ascoltato, l’arrivo dell’aquilotto porta gli oggetti presenti nel museo a vedere le cose diversamente, e a comprendere come la comunicazione e lo scambio di vari punti di vista e storie, possa arricchire tutti coloro che sono coinvolti.
Un altro esempio lo abbiamo nel film: “L’attimo fuggente” in cui Robin Williams è un brillante insegnante che tenta di far capire ai suoi allievi che ogni cosa può essere vista da più angolazioni, per es. che la classe può cambiare aspetto se la si guarda salendo sulla cattedra.
Abbiamo voluto parlare di metafore, in quanto le storie ci accompagnano dalla nostra infanzia percorrendo, insieme a noi, ogni momento della nostra vita. E’ un modo di comunicare sempre più utilizzato: in terapia, per entrare in contatto con l’inconscio del paziente superando le barriere razionali, spesso limitanti per il cambiamento, come superbamente utilizzava Milton Erickson; in formazione per creare vicinanza tra formatore e aula, concedere una pausa d’intimità e far vedere le cose da un altro punto di vista; in azienda per innescare i cambiamenti nelle politiche di management e nelle pratiche organizzative; a scuola per affrontare insieme agli alunni tematiche tensionali e ritrovare le proprie risorse interiori. In tutti i casi si motiva il soggetto a cambiare a partire dalle sue risorse e con la fiducia che sia l’apprendimento sia il cambiamento avvengano prima a livello inconscio.
Vi ringrazio per la vostra attenzione e ora diamo inizio alla conversazione, ma prima possiamo vorrei ricordarvi di compilare il foglio su cui potete esprimere le vostre preferenze su alcuni argomenti e che tutto il team della Earth è a vostra disposizione per eventuali informazioni e chiarimenti.
Di nuovo grazie e ora diamo veramente inizio alla conversazione.