Di Terry Bruno, psicoterapeuta e formatrice PNL
Pubblicato su “Odontoiatria oggi”, Anno V, n. 3/2007.
Ogni persona, sia operatore sanitario sia persona malata, si trova ad affrontare quotidianamente, in diverso modo, i temi fondamentali della vita. Sempre più spesso vengono richieste ai medici prestazioni sanitarie eccellenti che, spesso, vengono attuate grazie a proprie iniziative, a proprie capacità di persuasione e di adattamento, ad occasionali situazioni di empatia. Tutte competenze importanti ed efficaci alla base di una relazione di fiducia, di collaborazione, di soddisfazione per una compliance ottimale tra medico e paziente.
Questo modo d’interazione lo si riscontra maggiormente in coloro i quali amano il proprio lavoro e lo comunicano ai propri interlocutori.
>Daniel Goleman, autore di “Intelligenza Emotiva” dice: «Per raggiungere il massimo la gente deve amare quello che fa e deve trarre piacere dal farlo».
Il piacere di fare qualcosa verso un paziente e vederne un risultato positivo, oltre a far riscoprire un senso di appartenenza ad una professione, dà una profonda gratificazione interiore per un riconoscimento del proprio operato.
Nell’incontro clinico entrambi i protagonisti sono detentori di abilità che permettono di instaurare un legame di cooperazione ed intersoggettività.
Il paziente conosce tutto di sé, del suo corpo, della sua malattia, dei suoi comportamenti, delle sue abitudini, delle sue preferenze e dei suoi valori e, spesso, quando parla col medico non esprime molti di questi parametri. Alcuni, soprattutto i giovani, sono più critici ed esprimono ciò che vogliono; gli anziani o coloro che hanno una patologia più grave preferiscono essere guidati cioè avere di fronte un medico piuttosto paternalistico, anche perché alcuni di loro temono di prendere decisioni sbagliate.
La preferenza del paziente verso una modalità direttiva o collaborativa dipende dall’età, dal tipo di problema (fisico o psicologico), dalla sua condizione sociale.
Questa varietà di comportamento mette in difficoltà la classe medica e, come risultato, la compliance ne risente.
Come è possibile superare queste difficoltà e fare in modo che la fiducia, l’adesione al trattamento e la soddisfazione del paziente e del medico possano attuarsi?
Nel precedente articolo abbiamo parlato dell’importanza dell’ascolto attivo, di come esso sia fondamentale per la creazione di un buon rapport, in quanto si ha la possibilità di raccogliere più informazioni possibili che possono essere utili per una diagnosi ottimale e per far sentire il paziente accolto e compreso.
La PNL ci aiuta a migliorare il nostro rapporto con gli altri perché ci mette in condizione di osservare meglio e capire più profondamente il nostro interlocutore. E questo è possibile grazie al ricalco, fondamentale per creare un buon rapport.
Significa mettere il cliente a suo agio riproducendo parzialmente, durante l’interazione, il suo modo di comunicare sia fisico che verbale.
Numerose ricerche e osservazioni hanno dimostrato che quando c’è sintonia tra due o più persone esse tendono a muoversi e ad agire inconsapevolmente in modo speculare. C’è una sincronizzazione dei gesti, del tono di voce, del ritmo e del modo di parlare, delle espressioni linguistiche e, addirittura, del ritmo e dell’ampiezza della respirazione. Tutto questo crea un clima di fiducia e di agio che permette di comunicare e di trarre in modo efficace le informazioni, favorendo la compliance, cioè l’adesione al trattamento.
Affinché ciò possa avvenire il medico deve concentrare la propria attenzione sulla:
- comunicazione non verbale: postura, gestualità;
- comunicazione paraverbale: tono, velocità del parlato, volume;
- comunicazione verbale: le parole utilizzate dal paziente (visive, auditive, cenestesiche).
Più il medico riesce a ricalcare le modalità comunicative del paziente (flessibilità) maggiori saranno le possibilità d’interazione con il paziente, particolarmente quando è di fronte a situazioni complesse. La flessibilità di comportamento permette di entrare nel mondo del paziente e di ottenerne la sua collaborazione.
Ad esempio: un medico si trova di fronte un paziente che espone i suoi sintomi molto lentamente e nei minimi particolari. Se egli incomincia a porgli domande molto velocemente e mirate – sia per motivi di tempo che per il proprio modo di essere – rischia che il paziente o si blocca o continua a parlare diffusamente dei propri problemi. In questo modo ognuno resta sulle sue posizioni senza ottenere alcun risultato da entrambe le parti: incomunicabilità. In questi casi è opportuno da parte del medico, il cui obiettivo è che il paziente aderisca al trattamento, adeguarsi al modo di comunicare di quest’ultimo: un ritmo più tranquillo, un tono di voce simile a quello del paziente, un uso di parole (visive, auditive, cenestesiche) utilizzate maggiormente dal cliente.
Ma è anche molto interessante rispecchiare o ricalcare la comunicazione non verbale dell’altro. Se ad esempio il paziente ha le gambe incrociate sarebbe opportuno che anche il medico lo facesse a sua volta e questo non significa scimmiottare l’altro quanto tendere in modo subliminale ad assomigliargli, in modo che il cliente possa riconoscere nel medico qualcosa di familiare, sentirlo più vicino e tranquillizzarsi.
Questo modo di comunicare è di notevole importanza quando c’è molta tensione, paura, resistenza.
Ogni azione, ogni movimento fisico è comunicazione.
Il medico deve esserne consapevole in modo da utilizzare questa risorsa per diventare “un negoziatore, un consulente, insieme agente del cambiamento e manager della sicurezza” (Perini, 2001).
In conclusione possiamo dire che il rapport è la struttura portante della comunicazione efficace con il paziente/cliente, con i familiari, con i colleghi ed è indispensabile per la qualità dei rapporti e per le prestazioni orientate all’eccellenza.