Di Terry Bruno, psicoerapeuta e formatrice PNL
Pubblicato su “Tuttoscuola”, maggio 2005, n. 452
L’uomo è un essere sociale che ha bisogno degli altri per vivere ed evolvere. Durante la sua crescita si evidenzia sempre più la necessità di appartenere ad un gruppo, di entrare in relazione con compagni e con amici. La scuola come ambiente sociale risponde, sotto vari aspetti, a questo bisogno dell’uomo di far parte di una vita comunitaria. Più l’individuo si sente a suo agio, accettato dagli altri, più è facile crescere e interagire. Tutto questo agevola il lavoro degli insegnanti che risulta essere più fluido, particolarmente quando c’è rispetto e si collabora in modo unitario.
In ogni uomo è anche insito il bisogno di gestire in modo autonomo la propria vita e di vivere con disagio situazioni in cui deve sottostare all’altrui volere.
Molti dei comportamenti problematici in classe hanno origine proprio dal bisogno di potersi affermare. Ecco che l’intemperanza, la provocazione, la reazione maleducata, possono essere il risultato dell’esigenza di percepirsi in grado di affrontare il mondo e la propria dignità. Alla base di tutto questo c’è la necessità di avere fiducia nelle proprie risorse, nelle proprie potenzialità, per poter affrontare gli impegni scolastici e la vita.
Si riscontra nella scuola, però, in modo sempre più pressante una forma di prepotenza che è sicuramente di origine antica, ma solo recentemente ha ricevuto una particolare attenzione diventando oggetto di studio.
Stiamo parlando di bullismo: una forma di aggressività tra pari che si distingue da un semplice litigio o discussione, per essere ripetuta e continua nel tempo ed effettuata dalle stesse persone sulle stesse vittime, tra cui vi è disparità psicologica o fisica.
La scuola è il luogo migliore per far crescere un tale fenomeno per vari motivi:
- i ragazzi convivono nella stessa classe per periodi di tempo molto lunghi;
- possono costruire ruoli e gerarchie, anche perché spesso non hanno la supervisione degli adulti, come nei bagni, in cortile, nel pulmino.
In base agli studi condotti sugli interpreti di questo duello si è evinto che il bullo riversa la sua aggressività, ostilità e irritabilità non solo verso i suoi coetanei ma anche verso gli adulti, sia genitori che insegnanti.
I bulli non percepiscono la negatività delle loro azioni ed appaiono indifferenti alle condizioni di sofferenza in cui pongono le loro vittime, manifestando scarsa empatia nei loro confronti. Amano, inoltre, circondarsi di due o tre coetanei che tendono a non prendere l’iniziativa, ma a sobillare e a sostenere la condotta del bullo.
Le vittime, spesso, sono timide, sensibili e calme con una scarsa opinione di sé. Nella relazione con gli altri tendono ad isolarsi vivendo condizioni di solitudine e di abbandono e hanno difficoltà ad interagire nel gruppo dei coetanei. Non sono aggressive, forti fisicamente e violente. Tutte queste caratteristiche, che sono indice d’insicurezza e d’incapacità a reagire ai possibili attacchi, sono da stimolo per i bulli ma nello stesso tempo alimentano le provocazioni.
Le prepotenze dei ragazzi sono frequentemente sottovalutate dagli adulti perché:
- spesso si svolgono in luoghi nascosti agli occhi degli insegnanti e nessuno, compresa la vittima stessa, denuncia l’accaduto;
- gli adulti tendono a valutare gli episodi delle “ragazzate”, scherzi, giochi, sui quali è lecito soprassedere o non intromettersi;
- il senso comune li considera “una scuola di vita”.
I bambini in risposta a questi atteggiamenti degli adulti hanno determinate aspettative: le vittime si attendono totale indifferenza nei loro confronti, mentre i bulli ritengono di meritare approvazioni e rinforzi. Ed è proprio questa mancanza di fiducia nei confronti degli adulti che la maggior parte delle vittime non parla coi genitori o con gli insegnanti. La percentuale aumenta nel passaggio dalle elementari alle medie.
Risulta, perciò, ancora una volta preponderante il ruolo dell’adulto, particolarmente nell’ambito familiare. Importante è l’atteggiamento affettivo-emotivo che l’adulto ha con il bambino particolarmente nei primi anni di vita. La mancanza di calore e di affetto determina un maggior rischio di ostilità, durante la crescita, verso il mondo circostante. Ma anche una famiglia in cui sono presenti atteggiamenti aggressivi e violenti funge da modello per il bambino nell’attuazione di comportamenti simili. Allo stesso tempo atteggiamenti troppo permissivi e senza limiti verso l’aggressività del bambino determinano perdita di capacità di autocontrollo.
Non meno rilevante è il comportamento dei genitori della vittima che spesso hanno un atteggiamento iperprotettivo determinando, così, una difficoltà del bambino a staccarsi da loro e a crearsi una propria identità autonoma.
Il fenomeno bullismo è, quindi, molto complesso e ampio e, per poterlo arginare, bisogna intervenire in modo risoluto coinvolgendo genitori, insegnanti e alunni.
Che fare?
Insieme alla Dott.ssa Del Pio stiamo approntando un progetto in cui si intervenga sul mondo che orbita intorno alla vita del bambino:
- Sugli insegnanti: con una formazione specifica basata su strategie da applicare in classe direttamente sugli alunni. Queste strategie vertono al recupero di se stessi, della propria autostima e fiducia nelle proprie capacità, alla risoluzione di conflitti con mediazione, ad un ascolto attivo per una migliore empatia con gli alunni.
- Sui genitori: con seminari che diano informazioni specifiche sul bullismo e strategie comunicazionali e di ascolto attivo per affrontare il fenomeno. Importante è imparare a definire il proprio ruolo di guida e di garanti delle regole, per poter affrontare insieme ai propri figli, nel rispetto l’uno dell’altro, nuovi percorsi di crescita e di scambio individuale.
- Sugli alunni: con giochi, role playing, visualizzazioni, problem solving volti al recupero delle risorse dei bambini, da effettuarsi nelle ore di lezione. Ma un ruolo centrale hanno gli esercizi per sviluppare la cooperazione e il supporto nel gruppo, per il recupero della fiducia in se stessi e negli altri, e gli esercizi sull’autostima, per una conoscenza dei lati positivi da parte di se stessi e degli altri.
L’obiettivo primario è prevenire il bullismo agendo sui bambini già nei primi anni della Scuola elementare.
La collaborazione tra Scuola e Famiglia, con il coinvolgimento dei bambini da ambo le parti, può essere l’arma vincente per combattere un fenomeno in continua evoluzione permettendo il recupero di quei valori e comportamenti utili al benessere della comunità.
Nessuno studente dovrebbe temere di andare a scuola per paura di essere molestato o disprezzato, e nessun genitore dovrebbe temere che ciò possa accadere al proprio figlio.
Per concludere possiamo dire che il ruolo della Scuola oggi non è più solo quello di insegnare nozioni, espressioni matematiche, cultura, quanto quello d’insegnare, insieme alla Famiglia, l’arte del vivere: scoprire quante capacità e quale patrimonio di emozioni ognuno di noi ha per immunizzarsi dalla violenza e riuscire così a regolare, comporre e sedare ogni forma di conflitto.