Chi di noi non ha mai avuto problemi e conflittualità in famiglia, sul lavoro, nel gruppo di amici?
Perché il conflitto ha una parte così preponderante nella nostra vita?
Cosa ci porta ad accettare o rifiutare l’altro, a giudicarlo? Perché alcune persone tendono a veder nemici ovunque?
Le nostre relazioni interpersonali ci richiedono sempre più la capacità di accettare e gestire ciò che è diverso da noi stessi: persone, valori, pensieri, culture. Questo inevitabilmente porta il conflitto in una posizione centrale nella nostra esistenza.
Ma cosa s’intende per conflitto. Il conflitto è una crisi della relazione tra le parti in cui sono presenti una contraddizione di scopi e un disagio, una sofferenza. Esso è diverso dal contrasto che è una crisi nell’ambito del contenuto di ciò che viene detto. Alla base del conflitto vi è non solo una comunicazione non efficace ma anche una non gestione delle emozioni e dei propri bisogni. Spesso si pensa al conflitto sempre in termini negativi, ma esso può avere anche una valenza positiva in quanto facilita la costruzione dell’identità e la maturazione psicosociale degli individui. Gli effetti del conflitto di solito non dipendono dalla natura del conflitto
(ovvero dai perché dei conflitti) ma dalla qualità della relazione entro cui hanno luogo. Questo vale in ogni ambito della vita sociale. Non è l’assenza di conflitto a determinare il benessere. Anzi l’assenza totale di conflitto di solito segnala appiattimento, paura reciproca, rancori nascosti, immaturità. Molto raramente l’assenza totale di conflitto è indice di totale accordo.
Chi può dire di essere sempre d’accordo con qualcuno?
Quando non c’è conflitto (nel senso di visioni alternative) non c’è crescita nelle relazioni. Gli esiti del conflitto sono di vario tipo. Un esito possibile è la completa sottomissione all’autorità di qualcuno (uno cede a un altro), un altro è il compromesso (tutti concedono qualcosa agli altri). Spesso, quando le persone non riescono a trovare in sé la capacità di risolvere conflitti, si affidano alla mediazione di un terzo. Altre volte la strategia è il disimpegno, una vera e propria fuga dall’ambito conflittuale (quieto vivere) che di solito porta a esplosioni di conflitto ancora maggiori in un secondo momento.
Numerose ricerche indicano come gli adolescenti preferiscano il compromesso come soluzione dei conflitti coi genitori mentre la sottomissione è ancora l’esito più frequente (soprattutto nella prima e media adolescenza). Apprendere l’arte del compromesso è qualcosa di possibile. Innanzitutto va detto che il compromesso si attua attraverso la concessione reciproca; tutti lasciano qualcosa ma tutti guadagnano qualcosa. E’ proprio la sensazione piacevole di aver vinto tutti che fa sentire le persone bene e che permette di affrontare successivi conflitti senza eccessivi patemi. Ogni esito positivo di un conflitto accresce le capacità di tutti di far fronte alle difficoltà della vita, aumenta la comprensione e l’accettazione reciproca, facilita la comunicazione e aumenta l’intimità, l’interdipendenza e l’autostima. Il compromesso è un trovare quelle soluzioni intermedie che gratificano tutti sufficientemente. Di solito è più facile trovare la semplice metà (o imporsi) e infatti non tutte le persone imparano a gestire bene i conflitti per cui tendono a risolverli in fretta perché i conflitti vengono considerati pericolosi. Per questo si alimentano nuovi e più aspri conflitti.
Questo è quello che succede in vari contesti e situazioni ma è sempre più frequente in ambito familiare e nella relazione di coppia. Di questi continui conflitti chi ne fa le spese sono proprio i figli. La conseguenza di tutto questo è molto spesso la separazione che rappresenta un evento destabilizzante per l’intero nucleo familiare e in misura maggiore per un minore. Essa è un’esperienza dolorosa per il bambino, perché attacca la sicurezza del suo nido, e proprio per questo quando è possibile, è meglio evitargli tale esperienza. Però questo non significa vivere insieme per il suo bene, facendogli poi pagare la cosa in modo diverso: non più affettuosità tra i genitori, silenzi, indifferenze, letti o camere separate….
La cosa più importante è rimuovere le difficoltà che sono all’interno della coppia, magari anche con un intervento psicologico, quando è possibile, per il proprio benessere e per quello dei propri figli.
In questa situazione di cambiamento i figli possono attraversare un momento di confusione e di disordine emotivo dovuto alla diminuzione del senso di stabilità e di sicurezza di fondamentale importanza durante il percorso di crescita. La conflittualità tra coniugi ha generalmente inizio già prima della decisione della coppia di separarsi e perdura solitamente ben oltre la separazione; i figli fanno da spettatori ad accuse reciproche, offese, ingiurie e, non di rado, si trovano triangolati ed incastrati all’interno di dinamiche fatte di ricatti affettivi, di alleanze, di conflitti di lealtà che li spingono a prendere le parti ora dell’uno ora dell’altro genitore ed a sperimentare la spiacevole sensazione di tradire comunque qualcuno a cui tengono, qualunque comportamento adottino. Il bambino tende generalmente a sentirsi “colpevole e responsabile” delle difficoltà tra i genitori e questo lo porta spesso a sperimentare importanti vissuti di colpa, specie quando le discussioni riguardano questioni inerenti la sua collocazione (luogo ed orari di visita, scelte educative ecc). I bambini più piccoli possono fantasticare di avere il potere, con il loro comportamento, di influenzare nel bene e nel male il conflitto tra i genitori, motivo per cui paradossalmente è preferibile una scelta di rottura chiara e netta da parte della coppia rispetto ad una situazione di crisi ad esito incerto, trascinata magari per anni, che può “bloccare” il bambino e renderlo timoroso di poter provocare con il proprio comportamento sbagliato, il definitivo distacco della coppia coniugale.
È sempre preferibile spiegare al figlio, con un linguaggio chiaramente adatto alla sua età, ciò che sta succedendo, mettendo da parte colpe e responsabilità e chiarendo che le difficoltà riguardano il rapporto coniugale e non quello tra genitori e figlio; il bambino ha bisogno di sentirsi partecipe di quanto accade e non spettatore passivo, e va rassicurato circa la possibilità di mantenere rapporti continui e stabili con entrambi i genitori.
Spesso si sentono ragazzi parlare dei genitori che vivono insieme ma dormono in camere separate. I cosiddetti “separati in casa”, che restano insieme per amore del figlio, ma anche per una loro difficoltà a prendere una decisione dolorosa e difficile. In queste situazioni i bambini, o meglio i figli, si sentono compressi, in più in quanto non appartengono al problema. Sarebbe, quindi, meglio che i genitori, in queste condizioni, si separino in quanto non esiste più un legame affettivo tra loro e sono emotivamente distanti.
È preferibile una chiarezza, soprattutto per i figli, che si può esplicare con la separazione ma mantenendo una alleanza in quanto coppia di genitori.
Quali possono essere le conseguenze di una conflittualità non risolta e di una separazione?
Il tutto varia in base alla fase evolutiva che i figli stanno attraversando, in quanto essa influisce sul modo di percepire gli eventi. Per un neonato la presenza o l’assenza del genitore è vissuta come totale: tutto o niente. In un bambino piccolo possiamo osservare una regressione in alcune funzioni già acquisite: bagnare il letto o balbettare, fare incubi notturni e difficoltà a dormire. Se il bambino è molto piccolo e la violenza si protrae nel tempo la sua personalità viene rovinata dall’incapacità della mente del bambino di comprendere i motivi delle crisi e degli attacchi, per cui il più delle volte il piccolo pensa di essere lui a provocare i diverbi. Il bambino in età scolare potrebbe rifiutare la scuola o manifestare problemi nell’apprendimento e nel profitto scolastico, o manifestare aggressività verso i coetanei, o ancora manifestare sintomi psicosomatici (mal di pancia, mal di testa, ansia). In questa fase, poiché i bambini hanno difficoltà a comprendere il concetto di passato e di futuro, in quanto vivono il presente, bisogna presentare la separazione in modo più ovattato in modo che non la vivano come turbamento insanabile e definitivo. L’adolescente potrebbe invece chiudersi a riccio con fasi alterne di abbassamento del tono dell’umore e momenti di aggressività. Potrebbe inoltre ostentare autonomia e indipendenza o richiedere attenzione attraverso comportamenti antisociali (fughe da casa, piccoli furti, atti vandalici). In questa fase dello sviluppo il gruppo dei pari può acquistare grande importanza, sostituendo addirittura la famiglia. La comprensione delle ragioni e delle emozioni alla base della conflittualità e della separazione dei genitori arriverà lentamente.
I danni sui figli, in ambienti familiari fortemente conflittuali, riguardano le sensazioni di insicurezza e di impotenza. Il danno è sul piano della formazione della personalità, che viene segnata dall’esposizione a minacce, intimidazioni, dalla sensazione di mancata protezione e di allarme continuo: questi bambini si sentono come sempre seduti su di una polveriera che può esplodere improvvisamente.
La situazione dannosa peggiora se il contenuto dei conflitti tra i genitori riguardano il figlio, la sua educazione, le scelte che lo riguardano, poiché questi comportamenti acuiscono in lui il senso di colpa. I bambini che sono coinvolti nei conflitti di lealtà tra i genitori, che gli chiedono di schierarsi contro l’altro o che vengono chiamati in causa quando un genitore minaccia di abbandonare il partner, vedono compromesso il loro benessere emotivo. In questi minori si può osservare aspetti di eccessiva responsabilizzazione, adultizzazione e inversione di ruolo, cioè il bambino assume il ruolo di confidente e di protettore dell’adulto.
Nei casi in cui la violenza è quotidiana e cronica, parliamo di “violenza assistita”, cioè una situazione in cui il minore è coinvolto in atti di violenza compiuti su figure di riferimento affettivamente significative. In questi casi si ha un’azione sulla strutturazione del senso di Sé, che produce una percezione interna di svalutazione, di non meritare rispetto e amore, con danneggiamento del sistema nervoso, del funzionamento intellettivo ed emozionale e conseguente vulnerabilità. Dobbiamo ricordare che la capacità di formarsi opinioni significative riguardo a se stessi, agli altri, all’ambiente, e al futuro, si basa sull’apprendimento nell’infanzia.Spesso non si pensa alle conseguenze dei propri comportamenti.
Vorrei chiudere con un breve poesia di KAHLIL GIBRAN
“I vostri figli non sono figli vostri. Sono figli e figlie della sete che la
vita ha di se stessa.
Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benché vivano con voi
non vi appartengono.
Potete donare loro amore, ma non i vostri pensieri: essi hanno i loro
pensieri.
Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: esse abitano
la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in
sogno.
Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi: la vita
procede e non s’attarda sul passato.
Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in
avanti.
L’arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e vi tende con forza
affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.
Affidatevi con gioia alla mano dell’arciere; poiché come ama il volo
della freccia così ama la fermezza dell’arco.”